Il premier Paolo Gentiloni ha difeso il suo sottosegretario alla presidenza Maria Elena Boschi una volta di più, anzi: una volta per sempre; o forse un’ultima volta. La riconferma della fiducia alla Boschi — dopo il “black Thursday” attorno al caso Etruria in commissione d’inchiesta bancaria — è stata accompagnata dal preannuncio della ricandidatura per il Pd al voto di marzo. Un passo non del tutto scontato: le liste per le elezioni le prepara il partito, non il governo. Gentiloni ha voluto marcare un riallineamento con la leadership  di Matteo Renzi, dopo le tensioni bancarie sulla riconferma di Ignazio Visco in Bankitalia? Oppure sta accentuando una propria leadership, quella di “premier di continuità” che un numero crescente di osservatori gli preconizza? 



Quel che è certo è che il “caso Boschi” sta agitando in profondità l’establishment, con dinamiche tanto improvvisate e imprevedibili quanto quelle che animano il proscenio mediatico della commissione d’inchiesta. La prima della Scala a Milano, ad esempio, è stata disertata quasi in blocco da banchieri e direttori di giornali: evidente il timore di una stretta di mano inevitabile con la sottosegretaria presenzialista, sotto l’occhio di telecamere e paparazzi. Su un versante meno patinato — l’autorevole “Punto” quotidiano di Repubblica — Stefano Folli è reciso nel ritenere pochissimo probabili le dimissioni della Boschi: addita la tenacia del giglio magico renziano, nondimeno lascia trapelare qualche ansia del Quirinale. 



Anche ieri Gentiloni ha chiarito che il suo mandato è ora la conclusione “ordinata” della legislatura: non smentendo così che palazzo Chigi — col tacito assenso della Presidenza della Repubblica — sta preparando una rete di protezione per un dopo-voto prevedibilmente caratterizzato da uno stallo in Parlamento. Per riprendere immediatamente il suo lavoro in primavera, Gentiloni non intende dimettersi, ma non deve neppure cadere su qualche voto in Parlamento. Il fronte bancario non è certo l’unico sul quale deve tenere alta la guardia: il possibile, probabile voto sullo “ius soli” promosso dal presidente del Senato Piero Grasso (lui stesso ora in posizione anomala come leader  Mdp-LeU) è certamente un’altra trappola potenziale.



Il calendario della commissione bancaria resta in ogni caso il più irto di minacce. Nessuna delle quattro forze politiche che ogni giorno ne scrivono il copione è favorevole a Gentiloni: non il Pd che schiera il presidente-commissario Matteo Orfini come guardia armata della Boschi; non M5s, non la Lega Nord. Paradossalmente è Forza Italia l’area che mostra maggior distacco. Se è vero che Renato Brunetta recita fino in fondo il suo ruolo di “inquisitore”, è anche vero che un Maurizio Gasparri ieri ha detto di guardare con favore al fatto che la Boschi resti al suo posto: “Il Pd perderà voti”. Ma Silvio Berlusconi, reduce da un endorsement personale da parte di Angela Merkel, è forse in questo momento il leader più sintonico con l’esigenza di stabilità promossa da Mattarella e incarnata da Gentiloni. E non solo perché l’ipotesi di un nuovo voto in autunno incorporerebbe gli effetti di una possibile pronuncia favorevole da parte della Corte di giustizia Ue.

E’ in questo clima difficilmente interpretabile che si apre la settimana di fuoco per la commissione bancaria, teoricamente alla sua conclusione: testimonieranno il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, oltre all’ex amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni. Da quest’ultimo potrebbe venire una parola ultima sulle presunte pressioni della Boschi per salvare l’Etruria e quindi il padre: ma proprio dalla sua testimonianza potrebbe scaturire un’ulteriore convocazione per la Boschi stessa, nel qual caso sarà interessante appurare se a chiederla sono i commissari Pd o quali commissari dell’opposizione. In concreto: se il sottosegretario — contando magari sull’appoggio del presidente Pierferdinando Casini — ne approfitterà per un contro-comizio. In questo velenoso inizio di campagna elettorale, non è più certo che le dimissioni della Boschi siano un classico strumento nelle mani delle forze populiste e anti-bancarie. Possono diventare un’arma di ricatto nelle mani della stessa Boschi o di Renzi. Senza escludere che i destini si dividano prima del voto: circostanza che Gentiloni è chiaramente il primo a temere.