Diavolo d’un Cavaliere, ci ha fregati tutti ancora una volta. Qualche giorno fa, cerimoniere Bruno Vespa, ha detto che se dalle urne di marzo non fosse uscita una maggioranza si sarebbe rassegnato ad altri sei mesi sotto la grigia gestione Gentiloni, finché il Capo dello Stato non avesse convocato altre elezioni. Matteo Salvini si è inalberato e tutti i giornalisti hanno abboccato all’amo berlusconiano, come se il vecchio leader azzurro avesse voluto insinuare una spaccatura con la Lega. Come se il redivivo avesse interesse a fare saltare una coalizione di centrodestra che secondo ogni sondaggio guadagna terreno settimana dopo settimana.
Il giorno dopo, nel voto al Senato sul giro di vite contro gli sconti di pena per i reati più gravi, Forza Italia ha resistito sulle posizioni garantiste senza cedere alla deriva del pugno di ferro salviniano. Per gli osservatori è stato gioco facile concludere che tra Berlusconi e Salvini ha ripreso a scorrere cattivo sangue. Ma la battuta del leader di Forza Italia su Gentiloni non aveva come obiettivo Salvini quanto Renzi.
Il segretario del Pd perde consenso un giorno dopo l’altro. La commissione parlamentare sulle banche, voluta fortissimamente da Renzi, si sta rivelando un boomerang tremendo. Maria Elena Boschi è sempre più difficile da difendere: in Parlamento ha giurato di aver mantenuto un distacco olimpico sul dissesto di Banca Etruria, mentre ora si scopre che ha sollecitato incontri, partecipato a vertici, distribuito osservazioni. I sondaggi dicono che il suo sorriso imperturbabile e i suoi abiti da diva che pochi mesi fa attizzavano l’interesse degli italiani stanno diventando una zavorra per Renzi.
Ma il problema della Boschi non è il gossip: è una questione politica. Tanto che Gentiloni ha dovuto smentire ufficialmente una voce data per certa, ovvero che il premier stesse pensando a una lista personale da affiancare al Pd di Renzi che raccolga il “meglio” (per così dire) di questi anni di governo, quei ministri centristi che troverebbero poco spazio al Nazareno renziano: per esempio, la Lorenzin e Calenda al momento sprovvisti di un paracadute per la prossima legislatura. L’indizio che Gentiloni si starebbe muovendo come capo partito e non come premier agli sgoccioli sta nella sua difesa, obbligata, della Boschi: è stato il premier a garantire che i miasmi pre-elettorali usciti dalla commissione sulle banche presieduta da Pier Ferdinando Casini non ostacoleranno la ricandidatura della ministra. Parole che ci si aspetterebbe dal segretario di un partito, non dal capo di un governo. Gentiloni ha sottolineato che difendeva la Boschi come “dirigente politico del Pd” oltre che come presidente del Consiglio, nel silenzio del vero segretario.
Il sostegno (presunto) di Berlusconi al Gentiloni bis è un cuneo insinuato nel cuore del Pd mai così in difficoltà. Per Renzi la commissione di Casini è un vero contrappasso: lui voleva mostrarsi più grillino dei grillini, più antisistema dei campioni dell’antipolitica, e si ritrova con la madonnina del Pd sfregiata dalle deposizioni dei banchieri. Mentre i sondaggi crollano in un precipizio, Renzi coltiva rancore contro Gentiloni che poteva fermare la riconferma di Ignazio Visco alla guida di Bankitalia, scaricando su questo nuovo capro espiatorio tutti gli errori commessi dalla politica nella gestione bancaria, ma non l’ha fatto accodandosi ai voleri del Quirinale.
Se ora Renzi vorrà tentare un contrattacco, dovrà riaprire il dossier Visco e addossare a lui le responsabilità che vengono addebitate al conflitto di interessi della Boschi. Se Banca Etruria è finita male non sarebbe colpa dei colloqui più o meno interessati della ministra attenta al destino del padre, ma della mancata vigilanza di Bankitalia. Per salvare la Boschi, Renzi sarà costretto a prendersela con Gentiloni. Ecco perché le dichiarazioni del vecchio Silvio hanno sparigliato più nel campo avverso che nel proprio.