Carlo Nordio è andato in pensione lo scorso febbraio, a 70 anni, per raggiunti limiti di età ma continua a restare vicino a quel mondo che l’ha visto diventare magistrato nel 1977 e poi anche Procuratore aggiunto della Repubblica a Venezia, conducendo le indagini non solo sulla “costola veneta” delle Brigate Rosse ma anche sullo scandalo del Mose e diventando anche una delle figure di spicco della tribolata stagione di Mani Pulite, a inizio Anni Novanta: infatti, le sue posizioni sono spesso controcorrente e, da quando si è ritirato a vita privata, ha spesso espresso dei giudizi controcorrente a proposito dei magistrati e, più in generale, di un sistema giudiziario sul quale predica da tempo una riforma. E in una intervista concessa a Il Dubbio, il quotidiano diretto e fondato da Piero Sansonetti, Nordio parla di quello che, a suo dire, è il rapporto instauratori tra le toghe e i media nostrani, criticando inoltre la scelta di molti suoi ex colleghi di intraprendere una carriera politica grazie anche “alla fama ottenuta sulla stampa”.
SUL “PERVERSO INTRECCIO” TRA MAGISTRATURA E MEDIA
Sulle colonne de Il Dubbio, infatti, Carlo Nordio parte proprio dall’analisi di quello che chiama “il processo mediatico”, spiegando che non si tratta certo di un fenomeno recente ma di qualcosa che esiste in Italia almeno dal dopoguerra: “Penso all’omicidio di Wilma Montesi, un processo montato ad arte per colpire l’onorevole Piccioni, oltre che una strumentalizzazione che è diventata patologica poi con Tangentopoli”. Secondo il 70enne ex magistrato originario di Treviso, è stato proprio nella stagione di Mani Pulite che è nato un perverso intreccio fra la stampa e la magistratura: “C’erano canali privilegiati con i giornali, ai quali facevano filtrare le news più succulente per avere lo scoop” racconta Nordio che spiega anche cosa ottenevano in cambio i giudici da questo meccanismo, ovvero “sperticati riconoscimenti elogiativi che finivano per renderli più credibili e forti”. Inoltre, l’esito di questo cortocircuito era che i magistrati si sono sentiti sempre più impuniti man mano che ricevevano questa legittimazione da parte della stampa. E oggi, secondo Nordio, se ne pagano le conseguenze con l’ingresso di alcuni giudici in politica: “Grasso? Di lui critico la scelta di cinque anni fa, quando si candidò alle elezioni solo poche ore dopo l’uscita dalla magistratura” ricorda l’ex Procuratore che ipotizza come l’attuale Presidente del Senato possa aver avuto sin da prima dei contatti politici.
IL CASO GRASSO E LA “VOCAZIONE” ALLA MAGISTRATURA
Ad ogni modo, nella sua intervista a Il Dubbio, Carlo Nordio precisa la sua posizione su un tema così delicato e afferma che è “perfettamente legittimo che un magistrato faccia politica” anche se, a suo avviso, è un elemento di disturbo nei rapporti tra dei poteri che dovrebbero rimanere separati: insomma, Pietro Grasso come tutti i suoi predecessori può avere “tutte le opinioni politiche che vuole” ma secondo Nordio non è opportuno che abbia contatti col mondo del potere per rafforzare la propria candidatura. E la stessa cosa, nelle sue parole, vale anche per coloro che hanno smesso la toga, specialmente nel caso in cui “ha condotto delle inchieste dal forte impatto politico”: Nordio infatti spiega che in quel caso l’uomo di giustizia possa venire a trovarsi in una posizione imbarazzante ed essere sospettato di aver condotto determinate indagini solo per perseguire dei fini politici. Infine, il 70enne parla delle prospettive future e traccia un bilancio della sua carriera e di quella che da alcuni è chiamata “vocazione” alla magistratura: “Non vedo grandi possibilità di invertire questo rapporto, dato che ogni volta che si propone una legge sul tema l’Anm insorge e credo che l’unica soluzione si possa trovare a livello costituzionale e con un ricambio generazionale. E, da “mosca bianca” nel suo mondo, Nordio ricorda come però tanti altri suoi colleghi la pensino come lui sulla separazione delle carriere e i ribadisce che non ha mai visto il suo lavoro come “missione o sacerdozio” dato che in quel caso l’esercizio della magistratura “rischia di sconfinare nel fanatismo”.