Cosa avverrà in Catalogna ancora nessuno lo sa: nel giorno delle mani tese, fintamente tese e i dialoghi “abbozzati” tra Puigdemont e Rajoy, sembra di non essersi allontanati di molto dai giorni convulsi e a rischio secessione del referendum sull’indipendenza. In entrambi in casi – governo di Ciudadanos con gli altri unionisti (molto completo e con numeri a rischio) o governo “alla Puigdemont” con gli indipendentisti insieme ma senza leader, tra auto-esiliati e arresti – lo scenario di massima debolezza e fragilità della Catalogna è bello che servito. Il rientro dell’ex president nella Generalitat è stato invocato dai partiti indipendentisti Erc e JxCat. Puigdemont non ha escluso un suo ritorno a patto che ci siano “garanzie del rispetto della democrazia: di contro, il premier spagnolo ha spiegato che non è Puigdemont, nonostante un risultato strabiliante e da poco atteso, ad aver vinto le elezioni per cui bisogna vedere cosa riuscirà a combinare Ciudadanos con Ines Arrimadas che però a sua volta è politicamente lontana anni luce dal Partito Popolare, il vero sconfitto delle elezioni catalane. Insomma, il futuro è fosco a Barcellona e un uomo (o una donna) in grado di guidare questa transizione complessa, al momento non c’è, o almeno, non si vede all’orizzonte. Ecco qui i discorsi di Rajoy e Puigdemont dopo le elezioni in Catalogna
PARLANO I “VERI” VINCITORI
Alla fine, tra la lotta di “leadership” interna agli indipendentisti e lo sconto perdurante tra il premier di Spagna e l’ex presidente della Catalogna, si rischia di dimenticare che le elezioni catalane le avrebbe vinte in realtà un partito ben definito, nato in questa regione ma ormai diffuso a livello nazionale. E soprattutto, profondamente e continuamente unionista: Ciudadanos con la leader e candidata Ines Arrimadas ha preso la maggioranza di voti, ma non di seggi in Generalitat e per questo motivo rischia la “beffa” di una maggioranza con i due partiti indipendentisti Erc e JxCat finiti per secondi e terzi alle urne. La colpa di tutto questo, secondo il segretario nazionale di Ciudadanos è da dividersi “equamente” tra Rajoy e Puigdemont. «E’ duro sopportare un separatismo illegale, che pretendeva di strappare la Catalogna dalla Spagna, privando di libertà e diritti chi non la pensava come loro. Non siamo stati duri noi, ma molle il Pp che per 35 anni ha costruito il proprio potere a Madrid scendendo a patti con i nazionalisti e concedendo loro quel che volevano. Quando si passano tre decenni a cedere spazio a chi cerca di occuparlo tutto, finisci per trovarti fuori. Ed è quello che è successo. In Catalogna non c’è più Spagna». Secondo Rivera, in Catalogna si è costruito negli ultimi 35 anni qualcosa che ora è impossibile “distruggere” in 15 minuti: «Dovremo lavorare su infrastrutture, sicurezza, migliorare l’educazione e le liste d’attesa negli ospedali. Non voglio convincere nessuno, solo creare un ambiente di rispetto per tutti”. È disponibile a un indulto per l’ex presidente Puigdemont e gli altri? “No – risponde – Un cittadino che passa col rosso non viene perdonato, perché un politico che sbaglia sì?». Il risultato finale è che non si sa quale sarà il risultato: come già scrivevamo a commento del risultato di queste elezioni, entro il 23 gennaio deve tenersi la sessione costitutiva della nuova assemblea a Barcellona per poter arrivare all’elezione del nuovo Presidente, come primo turno, entro il 10 febbraio. Se però ad aprile non si arriverà ancora ad avere il leader della Generalitat, allora arrivano scioglimento dell’assemblea e nuove elezioni verso maggio: fosco futuro dove unionisti e indipendentisti dovranno tornare a collaborare, onde evitare il rischio default politico, sociale ed economico intravisto nei giorni del referendum e delle “pretese” di indipendenza di Puigdemont.