Mattarella si avvia a sciogliere le Camere. Ne parlerà oggi con i presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini, eletti nel 2013 dal Pd a guida Bersani con l’apporto determinante di M5s. Due scelte a loro modo profetiche, se è vero che Liberi e Uguali (la coalizione di Grasso) sarebbe pronto a fare un patto di governo con Di Maio. Una prospettiva che Peppino Caldarola, giornalista (ha diretto l’Unità dal 1996 al ’98, con D’Alema segretario) ed ex parlamentare Ds, dice di temere, perché “ci sono dialoghi che distruggono”. Ecco la sua analisi, dal Pd a Salvini, passando naturalmente per M5s.



La componente di Bersani ha sempre considerato fattibile un’alleanza con i 5 Stelle. 

Innanzitutto bisogna vedere se la somma delle due liste darà una maggioranza e oggi non è affatto scontato.

E’ l’unico problema?

No. La prospettiva di un governo con M5s può trovare il consenso di alcune componenti di LeU ma il dissenso di altre.



Per Bersani i 5 Stelle sono compagni che sbagliano, per lei sono di destra. E per D’Alema?

Difficile sapere cosa pensa D’Alema. Però ha detto che l’ipotesi più probabile è quella di un governissimo, con un premier a tempo che rifaccia questa legge elettorale indecente. 

Governissimo vuol dire Gentiloni premier?

Gentiloni, Amato o un altro che trovi in parlamento il consenso che gli serve. A quel punto il sostegno al governo non deve necessariamente venire solo da LeU e Pd, potrebbe coinvolgere anche il centrodestra.  

Nella sinistra ci sono valutazioni diametralmente opposte di M5s. Perché?



I bersaniani sono fautori dell’alleanza perché guardano alla loro composizione sociale. Chi li definisce di destra, e io sono tra questi, guarda alla direzione politica: M5s si è pronunciato contro i sindacati, sull’immigrazione la pensa come Salvini. 

Lei è contrario al patto. Perché, a parte i numeri?

Perché penso che un rapporto con M5s possa essere rovinoso per chi lo fa, come è stato per la sinistra quando si è messa con Leoluca Orlando, leader di tanti movimenti all’insegna dell’antipolitica. Il Pci-Pds-Ds in Sicilia è sparito per questo. Ci sono dialoghi che indeboliscono, altri che distruggono.

Meglio per Grasso e i suoi parlare col Pd renziano? 

Lo stato di guerra tra le due componenti del centrosinistra non può durare oltre. Sia che LeU faccia un patto con M5s, sia questo patto lo faccia il Pd con Berlusconi, entrambi hanno molto, moltissimo da perdere. Non è detto che debbano fare la pace. Però un armistizio ci vuole.

In che modo?

Potrebbe bastare una coabitazione, come si faceva nelle kommunalke sovietiche, gli appartamenti in cui ognuno aveva la sua stanza e si condividevano solo bagno e cucina, con la regola però di rispettarsi tutti a vicenda.

Ci sarebbero alcuno poteri che lavorano per istituzionalizzare M5s e renderlo presentabile: il Corriere della Sera e La7, dunque Urbano Cairo.

Nell’ultimo periodo i tentativi di blandire e accalappiare M5s sono stati forti. Questo abbraccio però non è utile a M5s, perché il movimento di Grillo si tiene insieme su un punto: quello di essere l’unica formazione antisistema. Se stringe un’alleanza con pezzi del sistema, diventa un partito normale. E non so a quanti elettori di M5s questo vada bene. 

Secondo Il Giornale invece Grillo avrebbe già isolato di Maio in previsione di una sua probabile sconfitta. Secondo lei come stanno le cose?

La realtà potrebbe essere più sfumata e le due cose non essere in contraddizione. Era difficile per M5s sottrarre a Di Maio la possibilità di candidarsi a premier. Ma anche alla Casaleggio e Associati sanno bene che Di Maio è una specie di Virginia Raggi, che è incompetente e che la sua immagine contraddice lo spirito combattivo del popolo del Vaffa, impersonato molto di più da uno come Di Battista.

Qual è la sua previsione?

Tra i tanti scenari possibili ce n’è uno che i sondaggisti non ci diranno mai, e cioè che uno dei tre competitori crolli. O il Pd, ed è l’indiziato numero uno, o il centrodestra, oppure anche i 5 Stelle, che tutti ritengono i più forti ma che potrebbero aver accumulato al loro interno una tale quantità di contraddizioni da non affascinare più chi ha votato per loro. 

E quand’è che i nodi arriveranno al pettine?

Quando diventerà chiaro che Di Maio non ha un programma, anche se dice di averlo, oppure che il suo programma non si tiene. Su Europa, Ilva, sull’operato di Minniti, sull’immigrazione, e cito a caso, i 5 Stelle non hanno una ricetta. 

Quanto è solido il patto Berlusconi-Salvini?

Elettoralmente Salvini deve guardarsi dal Berlusconi, dopo il voto Berlusconi dovrà guardarsi da Salvini. Ma la gara elettorale è a favore di Berlusconi.

C’è chi dice che il profumo di vittoria smussa qualsiasi difficoltà.

Prima delle urne sì, quando si tratta di fare un governo, pure. I problemi arrivano quando si deve farlo durare. 

Salvini per fare la Lega nazionale ha imbarcato gli ex missini, da Alemanno a Storace. Una mossa avventata?

E’ una scelta di cortissimo respiro, presa per poter dire di essere la nuova destra, ma quella destra che si è tirato dentro, e che ora si accovaccia per non farsi vedere, è fatta da personaggi che sono molto più esperti di Salvini. Come gli danno i loro voti, così glieli possono togliere. E al momento opportuno gli presenteranno la cambiale. 

Salvini le obietterebbe che ha raddoppiato i voti della vecchia Lega.

Abbandonando il nord ha raddoppiato i voti, ma ha rinunciato allo zoccolo duro su cui costruire il consenso. Ora ha virtualmente un pacchetto più ampio, ma molto più friabile.

(Federico Ferraù)