È uno strano paradosso quello in cui si trova il centrodestra, inteso come alleanza tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. I sondaggi lo danno nettamente (e forse irreversibilmente) in testa, imprenditori e società civile fanno la fila per gli appuntamenti pre elettorali di Berlusconi, il Cavaliere non trova inciampi neppure quando va in televisione da Fabio Fazio o sul Tg3, perfino Eugenio Scalfari lo issa sul piedistallo dei padri della patria dopo averlo schifato per anni.
Eppure l’aria che si respira in quegli ambienti è di nervosismo. Matteo Salvini non si fida di Silvio Berlusconi e il Cavaliere non vuole farsi legare le mani dal segretario della Lega. Le tensioni sono sfociate in una lite plateale in Sicilia, dove l’unico consigliere leghista eletto all’assemblea regionale ha lasciato la maggioranza perché non è stato premiato con un posto in giunta. Trappolone, scandalo, vergogna. Nello Musumeci poteva contare su 36 consiglieri su 70, ora siamo alla parità. Ogni provvedimento andrà contrattato con ogni consigliere, un bel problema per il nuovo governatore. Il che conferma che il voto in Sicilia è uno specchio che anticipa gli effetti che avrà quello nazionale. Ovvero lite perenne.
I motivi di agitazione tra Salvini e Berlusconi sono noti. C’è una lotta per la premiership e uno scontro sui programmi che è più profondo di quanto il media show voglia mostrare, tant’è vero che il lepenista d’Italia vorrebbe trascinare l’alleato davanti a un notaio per fissare gli argini della coalizione. Il Cavaliere fa il moderato, il leader leghista l’estremista. Non c’è gioco di squadra. Ma non esiste nemmeno una strategia comune su come avvicinarsi al voto. Salvini vorrebbe marcare il territorio, puntare sui fedelissimi duri e puri, un po’ come vorrebbe fare Matteo Renzi che blinderà le liste di yesmen. Berlusconi invece ha fatto tesoro delle sconfitte risicate, sa che 20mila voti o giù di lì possono fare la differenza, e si prepara ad allargare il recinto per fare entrare, o rientrare, gli ex fuggitivi.
Nelle interviste il Cav ripete ossessivamente che deve recuperare gli ex elettori di Forza Italia. Il suo forcing televisivo ha già mostrato qualche effetto nei sondaggi. Ma nel momento in cui si devono comporre le liste, riconquistare i delusi significa riprendersi tanti vecchi e nuovi politici che hanno gravitato nell’orbita degli azzurri. E infatti si assiste a un assalto alla diligenza paragonabile a quello con cui i parlamentari spremono soldi pubblici dalla legge di bilancio. L’elenco dei “pentiti” che tornano (o vorrebbero tanto tornare) a Canossa dal Cav è sterminato: Formigoni, Albertini, Cesa, Costa, Tosi, Zanetti, Quagliariello, Fitto, Tremonti & Sgarbi. Silvio non ha messo limiti alla provvidenza, tutto fa brodo come dicevano un tempo le massaie. O meglio, l’unico veto riguarda Alfano e i suoi irriducibili.
Ma in questo pentolone di brodo primordiale chi rischia di finire annacquato è proprio il nervoso Salvini. La Lega a sua immagine deve fare una campagna elettorale d’attacco, senza prigionieri, e non può permettersi di avere troppi alleati da trattare con i guanti invece che con la scure. Già c’è il problema di un azzurro come Tajani al Parlamento d’Europa, la Grande Nemica. Però, se le cose andassero come vuole Berlusconi, fra un po’ Salvini si troverà a fianco una lunga schiera di gente che egli ha aspramente combattuto e che tutt’ora non può vedere: un ex leghista come Tosi o ex componenti degli odiati governi di centrosinistra come Zanetti e Costa. Posizione scomoda che rischia di sbiadire la sua identità e di fargli perdere un bel po’ di voti. Non ci sarà da stupirsi se le frizioni tra Lega e Forza Italia continueranno fino al voto, anche se l’alleanza fosse blindata davanti a un notaio.