Solo un traghettatore? Macché: Gentiloni è in pole position per guidare la lunga transizione anche dopo il voto, se sarà necessario. Sergio Mattarella conosce bene la situazione e il suo obiettivo più importante lo ha raggiunto: una fine non traumatica della legislatura e Gentiloni che resta in carica fino a quando non ci sarà un successore “in grado di coagulare una maggioranza parlamentare dopo le urne”, spiega Luciano Ghelfi, quirinalista del Tg2. E’ questo il punto irrinunciabile del Colle. E vuol dire no a improvvisazioni, avventurismi e soluzioni al buio. Significa anche che Mattarella è il vero pilota di questa fase politica e anche di quella che comincerà la notte del 4 marzo, appena chiuderanno i seggi.



Le Camere sono state sciolte ma Gentiloni è rimasto. Mai un presidente del Consiglio in carica per gli affari correnti ha avuto un mandato più politico, soprattutto in previsione di ciò che sarà dopo il 4 marzo.

Non è esattamente così: Ci sono due precedenti, entrambi riferiti al presidente Ciampi, che mantenne il governo in carica senza dimissioni fino alla fine naturale della legislatura. Accade con Amato nel 2001 e con Berlusconi nel 2006. Detto questo, è chiaro che Mattarella ha fatto in modo che Gentiloni non venisse sfiduciato per dargli più forza nel gestire le tante scadenze che attendono l’Italia nei prossimi mesi, soprattutto sul piano internazionale, in ambito Nato e Unione europea.



Insomma c’è un patto Mattarella-Gentiloni. 

Di sicuro tutto l’ultimo anno della legislatura è stato caratterizzato da un asse di ferro fra il Quirinale e Palazzo Chigi, asse che è apparso ancora più chiaro nella fase conclusiva della legislatura. I reciproci attestati di stima scambiati fra il capo dello Stato e il premier sono chiarissimi. All’incontro degli auguri con le alte cariche dello Stato, Mattarella ha detto che l’ultimo anno della legislatura ha consentito di accompagnare la ripresa economica. E nella conferenza stampa di fine anno Gentiloni ha sottolineato che in questa fase di transizione la regia sarà quella del Quirinale.



Gentiloni ha detto che darà il proprio contributo alla campagna elettorale. Sarà Renzi ad essere un problema per Gentiloni, o viceversa?

I sondaggi dicono che oggi Gentiloni sembra avere più appeal di Renzi. Il suo understatement stile vecchia Dc non dispiace. Senza dubbio questo dualismo potrebbe diventare un problema.

Al Pd non converrebbe candidare formalmente Gentiloni a Palazzo Chigi?

E’ obiettivamente difficile che questo avvenga. Certo, costituirebbe un interessante rimescolamento delle carte, potrebbe anche pesare in positivo sul consenso del Pd. Ma pensare a un passo indietro di Renzi oggi sembra improbabile.

Secondo lei è stato davvero Gentiloni a insistere perché la Boschi restasse, mentre infuriava la tempesta su Banca Etruria?

Difficile rispondere. Di sicuro, però, da politico navigato Gentiloni si è intestato la paternità dell’operazione. E questo lo accredita al massimo grado presso l’inner circle renziano. E’ una notevole dimostrazione di lealtà, che può essere letta anche come una rivendicazione del proprio peso politico specifico.

Gentiloni ha fatto il suo lavoro, la legge di bilancio è stata approvata, la legislatura è finita senza traumi. Addirittura, ci dicono, il paese è in ripresa. Quali potrebbero essere i temi chiave del discorso di Mattarella?

Immagino che verranno sviluppati alcuni dei temi già toccati dieci giorni fa nel discorso alle alte cariche. L’invito a considerare le elezioni come una cosa normale, fisiologia della democrazia. Il richiamo ai partiti a sviluppare un confronto serrato, ma sulla base di proposte comprensibili e realistiche. Un rifiuto della demagogia per combattere l’astensionismo. Un messaggio, insomma di fiducia nel futuro e nelle capacità della società italiana di affrontare le sfide impegnative che ci attendono.

Alcuni leader sono convinti che Mattarella darà l’incarico a chi arriva primo nelle urne. Andrà davvero così? 

E’ francamente impensabile che Mattarella si scosti dalla prassi di sette decenni secondo cui l’incarico di formare il nuovo governo va all’esponente politico in grado di coagulare una maggioranza parlamentare, indipendentemente dal consenso della formazione politica di appartenenza. Si ricordino i precedenti di Spadolini, di Craxi, di Ciampi, di Dini e di Monti, gli ultimi tre né parlamentari, né esponenti di partito. Non solo. Nel 2013 Napolitano concesse a Bersani solo un pre-incarico, visto che il centrosinistra aveva la maggioranza solo in un ramo del parlamento.

L’incertezza post-voto potrebbe trasformare il vecchio accordo del Nazareno in un patto politico di governo?

E’ una delle ipotesi in campo per il dopo. Ma tutto dipenderà dal risultato elettorale. I voti di Pd e Forza Italia, ammesso che le due coalizioni si frantumino subito dopo il voto, potrebbero non bastare per arrivare alla maggioranza assoluta. E’ la prima volta che si vota con questa legge elettorale, e prevederne gli esiti appare particolarmente complesso. Dopo il 4 marzo, Mattarella potrebbe avere molto lavoro da fare.

(Federico Ferraù)