In pochi giorni il M5s si è messo in campagna elettorale con due iniziative che di fatto spiazzano i concorrenti e creano un nuovo orizzonte della contesa elettorale. In primo luogo Luigi Di Maio ha aperto ad alleanze con chiunque e in secondo luogo ieri ha aperto a candidature in lista a personaggi fuori dal Movimento 5 Stelle.



Le due cose rafforzano una nuova immagine moderata del movimento quindi gli possono fare guadagnare voti a destra e manca. Inoltre, se — come probabile secondo i sondaggi attuali — il M5s fosse il primo partito, Di Maio potrebbe ottenere la delega a formare il nuovo governo anche se non è ben chiaro se il diritto spetterebbe al primo partito o alla prima coalizione.



Infine liste aperte significa anche recuperare competenze e consensi in una società civile che potrebbe astenersi in grande maggioranza dalla gara elettorale.

Sono dichiarazioni di principio, che bisognerà seguire con realismo, ma in questo sembra di vedere una regia più attenta, forse di Enrico Mentana come avevamo ipotizzato, che potrebbe essere davvero trasformativa.

I dubbi su M5s rimangono enormi, e su queste pagine non ci siamo mai risparmiati critiche, ma oggettivamente il movimento oggi ha preso due iniziative che impostano la campagna in una nuova direzione.

Destra e sinistra oggi sono di fatto alla rincorsa, anche se tale rincorsa resta molto diversa per entrambi. Il centrodestra è in cima ai sondaggi ma è assediato da una miriade di problemi. Tra questi c’è il rischio di divisioni fra alleati, di cui due, Lega e Fratelli d’Italia, in odore di estremismo, e c’è Berlusconi ad un tempo indispensabile (perché motore e fondatore) e palla al piede (perché molto anziano e inseguito dalla giustizia), con in più l’incertezza su cosa vorrà fare al governo, visto che più volte in 20 anni FI è stata al potere senza troppi risultati. Forse dovrebbe affrontare questi problemi prima che diventino spine che arrestano la crescita della coalizione.



C’è infine il Pd che ha perso la magia. Bene dice Stefano Folli che Gentiloni non ha fatto male. Ma la verità è che Gentiloni non raccoglie voti, e Renzi lo si va a vedere come un toro alla corrida, per lo spettacolo di vederlo infilzato dal torero; e anche se vince, nessuno tifa per il toro, pur essendo il toro il centro dello spettacolo.

Questo è il destino quasi tragico di Matteo Renzi: oggi è forse uno degli uomini più antipatici d’Italia, pur non avendo fatto di più di tanti suoi predecessori. È lui il più a rischio, il suo partito potrebbe arrivare sotto il 20 per cento ed essere seppellito dalla storia a poco più di 40 anni.