“Il centrosinistra spaccato in due tronconi è fuori dalla partita”: è Luigi Di Maio a scattare la foto più impietosa della giornata, ma anche la più aderente alla realtà. Il dado è tratto, la spaccatura consumata, e Pietro Grasso ha varcato ufficialmente il Rubicone, abbandonando la terzietà richiesta a un presidente del Senato, seconda carica dello Stato, per lanciare la sua sfida a Renzi.
E’ sin troppo facile prevedere che quella di Grasso e soci sarà una sfida di testimonianza, destinata però a ottenere un risultato certo: l’eliminazione del Pd a trazione renziana dalla gara per stabilire la coalizione più votata, quella che darà le carte nella fase post elettorale. Con Renzi azzoppato, la partita vera si giocherà fra Movimento 5 Stelle e centrodestra. Non a caso Berlusconi ormai non lascia passare giorno senza sparare a zero su Grillo e compagnia. Dal suo punto di vista sono loro gli avversari più pericolosi.
Questo esito era chiaro da almeno un paio di settimane. E adesso che si è concretizzato, Renzi deve porsi il problema di reagire. L’inerzia della fase è tutta a suo sfavore e solo un cieco potrebbe non ammetterlo.
L’imperativo del Giglio magico è quindi uno scatto di reni che provi a rilanciare il Pd. Il treno che sta girando l’Italia si è rivelato un mezzo fiasco, e anche l’ultima crociata, quella contro il neofascismo riemergente, sembra debole. Un’arma di distrazione di massa, secondo i più maligni. Renzi, in fondo, continua a tentennare fra il caratterizzarsi come partito di sinistra oppure moderato. La nascita di “Liberi e Uguali”, in questo senso, lo spinge verso il centro, dove però è proprio Berlusconi ad avere recuperato consensi. Facile quindi prevedere che, una volta approvata la legge di bilancio, l’unico provvedimento che si potrà portare al voto in Parlamento sarà il testamento biologico, grazie al consenso trasversale dei 5 Stelle, che possono supplire le défaillance dell’area centrista.
Niente ius soli, quindi, sia perché il governo rischierebbe di scivolare, sia perché il prezzo da pagare in termini di consensi secondo alcuni sondaggisti potrebbe arrivare ai due punti percentuali. Del resto è proprio al centro che Renzi gioca la partita più difficile. In prima persona, con il suo partito, oppure attraverso gli alleati, è qui che deve trovare il modo per limitare le perdite e non uscire dal voto con le ossa rotte. In quel caso a essere messo in discussione sarebbe direttamente la sua leadership, perché gli oppositori, che oggi stanno allineati e coperti per paura di non essere ricandidati, non attenderebbero neppure un minuto a presentagli il conto.
Nessuno oggi riesce a fare ipotesi serie sulle intenzioni di Renzi, ma di sicuro il primo punto è costruire una coalizione competitiva. Tre gambe sono date per certe: Pd, una lista di sinistra con i seguaci di Pisapia e un rassemblement centrista che raccolga il maggior numero possibile delle 21 formazioni centriste mini e micro di cui il sussidiario ha scritto ieri. L’ipotesi più plausibile è che in questo listone si trovino insieme Alfano e Casini, anche se i più maligni attribuiscono all’attuale presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche la tentazione di tornare all’ovile del centrodestra dopo il voto, se il suo pugno di voti dovesse risultare utile a formare un nuovo governo. Sul tappeto anche una quarta lista con Radicali, Verdi e europeisti alla Della Vedova.
Nel gioco del “Piccolo Chimico” delle liste da compilare Renzi deve guardarsi dalla tentazione di dare il via libera a una eccessiva frammentazione: lo sbarramento per entrare in parlamento è il 3 per cento, ma contano anche le liste fra l’1 e il 3 per cento, i cui voti vengono spalmati sugli alleati che superano la soglia. Naturalmente il “disturbo” di chi corre sapendo che difficilmente supererà il 3 per cento dovrà essere pagato con qualche candidatura sicura nei collegi uninominali.
Sin qui però siamo solamente ai trucchetti, e alla tattica. Cose rilevanti, ma probabilmente non decisive. Il nocciolo del problema è presentare una politica realmente attrattiva, mentre in contemporanea ci si prepara a gestire la fase successiva al voto. Anche in questo caso grande è la confusione sotto il cielo del centrosinistra, come testimonia la tirata d’orecchi di Carlo De Benedetti, tessera numero uno del Pd, al grande vecchio del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari, reo di aver definito i 5 Stelle più pericolosi di Berlusconi. Si tratta di una divaricazione radicale su come muoversi dopo un voto in cui quasi certamente nessuno vincerà e due dei tre poli (si accettano anche spezzoni) dovranno sedersi intorno a un tavolo, e dialogare. E il dilemma del centrosinistra è proprio se scegliere Berlusconi o Di Maio. Renzi, se c’è, su questo un colpo non lo ha ancora battuto.