Un Paese dominato dal rancore, nonostante la (seppur lenta) ripresa economica; un ceto medio che si interessa sempre più alla cultura ma che appare sempre più in crisi e alla ricerca di idoli a volte effimeri negli idoli dei social network o in quegli oggetti che conferiscono uno statys symbol. È questa la fotografia che emerge dalla presentazione dalla 51esima edizione del Rapporto presentato di recente dal Censis e che, come ogni anno, prova a fornire un quadro il più esaustivo possibile della società italiana e dei suoi mutamenti, da quelli più manifesti a quelli invece sotterranei. E dalle pagine del lavoro preparato dal noto istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964 si nota come uno dei grandi problemi di un’Italia in cui l’economia fa registrare indici di crescita e l’industria è tornato uno dei settori trainanti è soprattutto la perdita di forza propulsiva di “quell’immaginario collettivo” che è alla base di ogni grande narrazione di un Paese e che secondo gli autori è dovuto soprattutto alla mancanza “di un’agenda condivisa”: infatti, al di là dei segnali positivi, a dominare nell’italiano medio è soprattutto il rancore e una rabbia che non viene incanalata nel modo giusto e che spesso porta a un diffuso senso di mortificazione nel proprio privato e a un non saper perdonare o dimenticare alcun tipo di offesa.



DOMINA IL RANCORE E L’ODIO VERSO IL PROSSIMO

Insomma, dalla pagine del nuovo Rapporto del Censis, la società italiana nel 2017 deve fare fronte a fenomeni all’apparenza di segno opposto e che tendono a contraddirsi tra di loro: e a farne le spese, come detto, è soprattutto il cosiddetto ceto medio che, più di tutti, risente del fatto che la ripresa economica ha prodotto benefici i cui “dividendi sociali” non sono stati ben redistribuiti. E, leggendo tra le pagine del documento presentato in questi giorni, emerge come la logica conseguenza di ciò (oltre che delle questioni ancora aperte a livello occupazionale) sia un rancore le cui manifestazioni sono praticamente quotidiane, nella vita reale come sui social. Anzi, questa rabbia a fatica repressa verrebbe indirizzata non solo verso l’alto, attraverso la cosiddetta anti-politica, ma pure verso il basso, ovvero gli strati più miseri e indifesi della popolazione, siano essi gli “homeless” (il cui numero è in costante aumento) o quello che viene definito “il capitale umano immigrato” che spesso finisce per essere il capro espiatorio immediato per problemi che, invece, sono molto più radicati. Dunque, la ripresa non è stata sufficiente secondo il Censis e il sentimento che la mobilità sociale verso l’alta sia bloccata è alla base dell’odio diffuso che oramai c’è verso il prossimo.



I “NUOVI MITI” E IL RAPPORTO CON LA POLITICA

Se c’è uno “spettro sociale” che avanza e che tormenta gli italiani è soprattutto quello del declassamento: il ceto medio infatti non solo è convinto che sia difficile salire nella scala sociale, è anche vero che il vero timore è quello di uno scivolamento soprattutto tra i “millennials”, i più disillusi da questa situazione. Non solo: il timore di un declassamento fa il paio con una generale tendenza ad allontanarsi dall’altro, inteso come l’immigrato o colui che professa una religione diversa; per questo, non è nemmeno un caso che l’immigrazione evochi “sentimenti negativi nel 59% degli italiani” e che questo dato peggiora man mano che si scende nella stessa scala sociale. Un altro aspetto che viene messo in risalto dal Rapporto è quello relativo al cambiamento del vecchio immaginario collettivo: i vecchi miti che dominavano nell’Italia del “boom” economico vanno in soffitta e, specie per gli under 30, si fanno strada opinion leader e le “star” di Youtube o degli altri social network: proprio le piattaforme sociali si pongono in testa ai miti positivi, seguiti da quello del posto fisso e, a sorpreso, dal possesso di uno smartphone che precede pure la cura del corpo e addirittura la tanto agognata (in passato) casa di proprietà. Infine, un accenno al rapporto con la politica: anche qui domina un risentimento generalizzato di fronte all’offerta dei vari partiti, con una sfiducia verso l’intera classe politica che raggiunge percentuali bulgare (84%), ma anche nei confronti dell’attuale Governo (78%) e delle istituzioni locali (70%) che avvicina spesso a “posizioni populiste se non sovraniste”.

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