L’Italia sembra condannata all’instabilità, grazie alla mancata riforma costituzionale e ad una legge elettorale che potrebbe non determinare un vincitore. Inoltre, nel 2019 ci saranno le elezioni europee e nell’anno successivo quelle regionali, scadenze elettorali che tolgono il sonno alle maggioranze e ai governi. E’ possibile che questo complesso di circostanze ci faccia pagare un prezzo salato.
Quello europeo non è uno spazio angelicato. Le rivalità tra i singoli paesi e tra questi e l’Unione Europea sono all’ordine del giorno e i paesi che appaiono meno solidi sono presi di mira. Il tentativo di Macron di inserirsi nelle trattative dell’Italia con i due governi libici e gli avvisi di Moscovici al governo italiano sulla necessità di una manovra suppletiva in primavera sono la dimostrazione di questa tendenza.
Siamo necessariamente condannati alla marginalità?
Se la passano male Trump per il Russiagate, Rajoy per la Catalogna, Merkel perché non riesce a fare un governo, May perché sono venuti al pettine i nodi della Brexit. Non è mezzo gaudio; ma è segno che le difficoltà non sono solo nostre. Tuttavia, secondo gran parte della opinione pubblica, sembra che noi siamo inguaribilmente i peggiori. Il fatto è che preferiamo autodenigrarci piuttosto che valorizzarci. E’ una sottile pratica di deresponsabilizzazione. Se le cose vanno male, perché devo impegnarmi?
E’ proprio vero che siamo ultimi in tutto? L’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa, dopo la Germania. Nella globalizzazione, l’Italia è tra i paesi che hanno conservato maggiori quote di mercato mondiale, il 72,6% delle quote di export rispetto al 1999. Performance migliore di quelle di Usa (70,2%), Francia (59,8%), Giappone (57,3%), Regno Unito (53,4%). L’Italia è, nell’eurozona, la meta preferita dei turisti extraeuropei. Siamo il primo paese per pernottamenti di turisti extra Ue, con 56 milioni di notti. Siamo la meta preferita di paesi come la Cina, il Brasile, il Giappone, l’Australia, gli Usa e il Canada. Considerando il debito aggregato (stato, famiglie, imprese) l’Italia è uno dei paesi meno indebitati al mondo. Se invece del pesante debito pubblico guardiamo la situazione debitoria complessiva del Paese, l’Italia è più virtuosa (col 261% del Pil) di Stati Uniti (264%), Regno Unito (284%), Spagna (305%), Giappone (412%). Questi ed altri dati di analogo significato sono stati oggetto di un rapporto di Coldiretti e delle fondazioni Symbola e Montedison. Ma non hanno avuto grande seguito sui mezzi di comunicazione perché sono buone notizie, costringono ad abbandonare dai luoghi comuni, impongono un impegno.
Accanto a questi dati positivi ci sono molti dati negativi; ma anche altri paesi hanno dati negativi insieme e a dati positivi. Non ha senso lamentarci della cessione di sovranità all’Ue, della scarsa qualità delle leggi, della distanza tra cittadini e classe politica dirigente se non cominciamo a dire la verità su noi stessi, sulle nostre qualità e se non facciamo leva sulle qualità per sconfiggere i difetti. Si ritiene in genere che questa operazione di verità sia impossibile per il prevalere del populismo. Ma il populismo, in questa gara per l’autodenigrazione, non è solo. Gli tiene compagnia il narcisismo. Il narcisismo è una malattia delle classi dirigenti. Si fonda su una pretesa superiorità intellettuale e culturale, sulla pretesa capacità di dare suggerimenti indispensabili, sulla critica di tutto quanto è diverso da sé. I narcisisti sono elitari ma non lo riconoscono; aspirano al circolo ristretto ed iniziatico, ma si dicono aperti all’esterno. Presuppongono che il mondo vada male e che vada male perché non segue i loro consigli. Se il mondo manifestasse segni di ripresa, la loro funzione sarebbe svuotata. In questo pessimismo pregiudiziale i narcisisti si avvicinano ai populisti. Entrambi dannosi nella stessa misura.
Le nostre fragilità, compresa l’instabilità, si combattono e si superano partendo da quanto di positivo l’Italia fa ogni giorno. Ignorarlo significa umiliare quelli che costruiscono e autocondannarsi alla marginalità.