Avrebbe dovuto essere il regalo più grande, come una torta al cioccolato per un bambino, una fiasca di acqua fresca per un assetato, un pane caldo all’affamato. Invece sono lì, basiti, di stucco come se guardati dalla Medusa, trasformati in pietra e pronti a cambiarsi in sabbia.

La maggiore novità di questi giorni è, davanti al ritorno di Silvio Berlusconi, l’impotenza dei grillini (che sì, in bocca al Cavaliere suona proprio “grullini”).



I leader del M5s avrebbero dovuto scatenarsi, rispolverare il loro arsenale contro la corruzione, la vecchia politica, invece da giorni assistono inani a Berlusconi che non cerca più l’assoluzione della corte di Strasburgo, non smania più per un riconoscimento di innocenza, ma esibisce le accuse come medaglie al valore, come un veterano di mille guerre mostra medaglie e cicatrici, come ha scritto Francesco Merlo su Repubblica.



Nella faccia plastificata per nascondere le rughe, con i capelli trapiantati e scuriti a celare calvizie e canizie, appare finalmente tutta la verità dell’uomo: mi accusate di tutto? non mi sottraggo più a niente. Non nega, non cerca di svicolare, non tenta sottili distinguo, menzogne ridicole tra la Ruby quasi maggiorenne o la figlia di Mubarak. Non ammette, certo, ma nemmeno più scappae.

Di fronte a questo il M5s dovrebbe caricare, sfondare la porta. Invece resta zitto, sulla difensiva di fronte alle accuse che lo perseguitano: di non sapere governare, di essere guidato da un gruppo di incompetenti.



Di Maio, il candidato leader, rimane con la faccia di bronzo quando gli dicono che non si è laureato e non sa quello che sta dicendo. Lui sforna altri slogan fatti di parole che non capisce, mentre a Montecitorio fanno scommesse salaci sul suo outing: quando svelerà le sue vere preferenze sessuali?

Di Battista invece spiega che lui “ha quasi due lauree”, ma non si ricandiderà perché… perché? e non pare solo una voce la storia dei suoi scontri con Di Maio e con il resto del movimento. Ciò nasconde il fatto di avere ancora meno spessore di Di Maio, di cui non ha nemmeno la faccia di bronzo, perché alla domanda a cui non sa rispondere si perde in smorfie e arrossamenti.

Fico invece resiste in tv davanti alla cascata di battute feroci di Gene Gnocchi, ma ha uno scatto isterico alle domande dell’intervistatore e para la mano quasi a oscurare la telecamera, come a dire: non ce la faccio più, lasciatemi andare via.

Il capo supremo, Beppe Grillo, si è doppiamente sfilato, davanti alla sfida delle elezioni prima ha mandato avanti i ragazzi da soli e ora con Berlusconi non interviene. L’erede, Davide Casaleggio, non c’è o non carbura perché non è apparsa alcuna strategia di contrattacco.

Di fatto i 5 Stelle erano nati e cresciuti davanti alla bandiera della corruzione della politica, quindi della corruzione di Berlusconi. Ma ora questa bandiera non esiste più: a Roma li sostengono transfughi del Cavaliere, trattano un dopo-voto con la Lega di Salvini, il quale, si sa, vorrebbe la carta bollata a sancire la sua alleanza con Berlusconi. A sostenerli anche qui è un caro amico del Cavaliere, Cairo con il Corriere e La7, anche se pure lui e i suoi appaiono imbarazzanti davanti alle performance sempre più scadenti dei M5s.

Non è che i nuovi leghisti sono entrati nel sottopotere romano, come accadde alla Lega di Bossi, è che ancora prima di farlo sono diventati impotenti. Davanti alla torta al cioccolato di Berlusconi che esibisce le sue accuse non addentano, come se temessero che la torta fosse al veleno e di rimanerne uccisi. Probabilmente hanno ragione. Ma intanto il panico li uccide con l’immobilità.

In questo provano ancora una volta di essere semplicemente incompetenti. Il bersaglio si è mosso, Berlusconi non si nasconde più, ma mira a esibirsi come San Sebastiano, e di fronte a questo l’M5s semplicemente non sa che fare.

In ciò ci sono però tre morali. La trasformazione di Berlusconi in San Sebastiano e l’impotenza dei 5 Stelle non porterà più votanti ai seggi. Per molti, questo ultimo cambio significherà di nuovo tenersi lontano dalla politica, le astensioni probabilmente cresceranno. Dopo il voto il vincitore dovrà affrontare qualcosa di molto delicato, perché governerà con un mandato che potrebbe rappresentare meno del 25 per cento della popolazione. Un’ovvietà in Usa, ma una novità in Italia, che comporterà ulteriori sfilacciamenti sociali, emarginazioni, come i ghetti americani o quelli di Napoli o Ostia, descritti da “Gomorra” o “Suburra”.

L’altra morale è che in questo dibattito il Pd di Matteo Renzi e alleati/nemici di sinistra è scomparso. Né M5s, né Berlusconi lo nominano, come se lo dessero già per estinto; né Renzi o i suoi alleati parlano di M5s o di Berlusconi, come se il loro nemico-amico di sinistra fosse più importante.

La terza morale, ci permetteremmo umilmente di segnalare, riguarda il nume del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari. Quando disse di scegliere tra M5s e Berlusconi si sbagliava in più di un punto, crediamo e abbiamo scritto. Ma il punto principale, ora è chiaro, è che gli M5s hanno smesso di esistere e c’è solo Berlusconi in campo.

Detto ciò, vista la velocità con cui la politica italiana divora i suoi eroi, è possibile che il nuovo San Sebastiano alla colonna prenda una freccia di troppo e cada, o che qualcuno — un quarto — si svegli dalle macerie morali del paese.