C’è una fotografia che inquadra Grasso, Fratoianni, Speranza e Civati che sembra una pubblicità di Sky di fronte ai nuovi programmi della rete. Una versione occidentale e di destra camuffata della vecchia “banda dei quattro” di Lin Piao.
Occhi sgranati e sorrisi irreali, in una felicità para-comica nella sala dell’Eur che ha ospitato la nascita di “Liberi e Uguali”, praticamente il motto della rivoluzione francese del 1789 senza la fraternità, e ha varato un programma che, in tutti i casi, si distingue soprattutto per la sua irrazionalità su quattro punti fondamentali: mandare a casa Matteo Renzi, neanche fosse il nuovo Rasputin; ritornare a impossessarsi del Partito democratico; rinviare a data da destinarsi, come tutti gli altri protagonisti di questa politica italiana, la soluzione per la stabilità del Paese; non affrontare un realistico e moderno rinnovamento della sinistra.
E’ solo parzialmente vero che c’è un “gusto masochistico” di dividersi nella sinistra. In questa caso, si sta concludendo un lungo processo dove la sinistra, egemonizzata dal vecchio Pci e dai cattolici di sinistra, mimetizzati sotto varie vesti, si sta rivoltando in una lenta agonia.
A tutta questa platea di zombies dovrebbe ritornare alla memoria il primo articolo di Giorgio Amendola su Rinascita del 17 ottobre 1964 (vadano a leggerselo in biblioteca), dove il grande riformista indicava la soluzione del partito unico della sinistra, superando leninismo e socialdemocrazia, cambiando nome al Pci. Scoppiò un pandemonio e poi un ’68 lungo più della fame.
Di fronte agli sbandamenti a destra di questa società complessa, che in Italia vive in “nicchie di rancore”, consigliamo all’attuale gruppo dirigente del Pd e della futura formazione della sinistra nascente e senescente, di non raccontare più balle e magari di sfogliare altri due libri “scomparsi” nelle scuole e nelle librerie del conformismo catto-comunista: Nascita e avvento del fascismo di Angelo Tasca e Il diciannovismo di Pietro Nenni. Potrebbero imparare qualche cosa. Non tutto, ma qualche cosa sì.
Come tutti i fenomeni di cambiamento, l’Italia primeggia in lunghezza di tempi. Qui il sessantottismo è durato circa vent’anni: si inneggiava per le strade a Mao Tse Tung anche quando “il grande timoniere” aveva fatto l’alleanza con Kissinger e voleva ospitare a Pechino il presidente Nixon silurato dal Watergate. E qui la sinistra, che pretende di cambiare il mondo, neppure di riformarlo, continua a durare sotto la cultura inquietante dell’uomo del Komintern, Palmiro Togliatti, e sotto la mano confusa e tremante dell’Enrico Berlinguer, l’alfiere della “questione morale”, che poi si sposa con l’azione e il ruolo di una magistratura che è sconosciuta negli altri Paesi occidentali e alla fine sbanda tra l’Achille Occhetto che predica o sragiona, alla Bolognina, quando cade il Muro di Berlino, di “un nuovo soggetto politico che deve essere un’uscita a sinistra del Pci”, e il veltronismo e il dalemismo, che diventano devoti clintoniani neoliberisti o addirittura — secondo l’avvocato Guido Rossi — presidenti di una banca d’affari, anche se si chiama Palazzo Chigi, dove però non si parla inglese.
E’ evidente che i grandi interessi internazionali, che volevano saccheggiare e comprare l’Italia, non potevano che tollerare e benedire una sinistra di questo tipo, inutile, inconsistente e litigiosa, e una compagnia di giro di centrodestra che faceva solamente ridere e non avrebbe mai varato una autentica “rivoluzione liberale” come avviene nei paesi di antica democrazia.
Il marasma della sinistra graziata per interesse nel ’92, l’inconsistenza di un’opposizione seria e i grandi poteri internazionali, con una magistratura che fa solamente piangere o ridere, hanno creato il pandemonio dell’instabilità cronica di questo Paese, con un precipizio economico continuo dal secondo semestre del 1992 fino a oggi, come è documentato da dati che nessuno riesce a smentire. Il tutto aggravato infine dalla grande crisi mondiale del 2007, quella che ci è stata regalata dalla nuova finanza modello McKinsey, la bandiera della Bocconi, che tanti “sinistri” vecchi e nuovi amano.
Certo, Matteo Renzi non brilla certo per sagacia e intuizione politica. Ma c’è bisogno di mettere in piedi tutto questo casino per mandare in minoranza un segretario di partito? Forse, in realtà, la povertà degli argomenti di Renzi è speculare alla povertà degli argomenti di Bersani e soci, sopratutto alla prosopopea di Massimo D’Alema.
Il secondo punto del programma di “Liberi e Uguali”, quello (diciamo la verità) di re-impossessarsi del Pd, non appare come la continuità paradossale di una strada sbagliata, collegata solo a un’operazione di nostalgia ideologica e senza sbocchi per il futuro? Giocare poi sull’instabilità del Paese, magari varando un governo tecnico (Dio ce ne scampi e liberi!) oppure un governo del presidente, non significa, con tutta probabilità, pesare in modo ancora peggiore sui conti e sul futuro del Paese? Anche per un solo anno?
Il problema sul tappeto sarebbe quello di rinnovare veramente la sinistra, senza pregiudizi, con idee innovative, rispettando i nuovi tempi e le nuove esigenze di una società che è in tumulto di trasformazione e ha subito scossoni terribili sulla redistribuzione del reddito e la mancata riforma della democrazia parlamentare rispetto alle nuove necessità di decisione, tempestività, funzionalità dell’amministrazione pubblica, agevolazione degli investimenti produttivi (anche quelli pubblici), nuovi diritti e nuove libertà. Diciamo la verità: tutto questo a Renzi non è passato nemmeno per la testa, tanto meno però passa per il cranio dei quattro che sorridono beotamente all’Eur. Alla fine, a sinistra, tra nervosismo e battute acide, si consuma uno scontro tra incapaci e nostalgici del secolo scorso che avevano già sbagliato nel secolo scorso. Hanno fatto andare fuori dai gangheri anche l’ingegnere De Benedetti, una vita votata alla speculazione, per le copie perdute da Repubblica dopo l’uscita di Eugenio Scalfari che in un testa a testa tra Di Maio e Berlusconi sceglierebbe il cavaliere. De Benedetti, l’uomo che tra un affare e l’altro dichiarava di essere la “tessera numero uno del Pd”.
Se solo si paragonasse questo duplice programma della duplice sinistra alle innovazioni della vecchia commissione Bozzi e alla “grande riforma” auspicata, cascherebbero le braccia nel rimpianto di quei tempi.
In definitiva assistiamo a una partita sul nulla, sul vuoto pneumatico, mentre stanno ballando i pentastellati di un comico e i cosiddetti riformisti, con le loro scelte perspicaci, sono pure riusciti a rimettere in pista un ottantenne che non sa neppure che cosa sia la politica, il bene comune, lo sviluppo democratico ed equilibrato, equo, e la ricerca di una visione del mondo che si sta evolvendo. Come facevano, oltre ai politici, banchieri e industriali come Mattioli, Cuccia, Maranghi, Olivetti e altri ancora. Inutile scomodare dei grandi tecnici umanisti per questa mondo di politici che hanno scardinato un Paese, tra risse da ballatoio e esibizioni da talk show televisivo.
Certo, l’Italia resta un grande Paese e abbandonarsi al pessimismo non conviene a nessuno. Ci serve soprattutto un bagno nel realismo e ricordare una legge sociologica che non è stata mai cancellata nella storia: si può accettare un arretramento, una crisi, anche una tragedia di guerra, un evento catastrofico per calamità naturali. Ma le persone non riescono ad accettare arretramenti forzati per spaventose incompetenze di politici, squallidi giochi di potere, desideri ideologici che dovrebbero essere messi in soffitta. Alla fine resta solo la rassegnazione e il rancore. Oppure la ribellione. Speriamo di no.