“Il delitto perfetto” è uno dei più famosi e splendidi film di Alfred Hitchcock. E’ del 1954 e ci compare un angelo biondo, malizioso, la famosa Grace Kelly. Siamo in una casa di Londra, e dalle finestre si può solo immaginare un mondo ricostruito, dopo una guerra vinta con grande fatica e grande orgoglio. Un ex tennista fallito, interpretato dal grande Ray Milland, mette in atto, per assicurarsi un vecchiaia di ricca tranquillità, un piano diabolico di “omicidio per commissione”, che si aggroviglia nelle pieghe della realtà e alla fine si infrange per un banale scambio di chiavi di casa. L’atmosfera British assicura eleganza e amara ironia a questa vicenda, destinata al fallimento.
Le urla nella nostra commissione parlamentare sulle banche, la deposizione di un procuratore di Arezzo, le impennate indispettite della signorina Maria Elena Boschi (bella ma, ci scusi, meno elegante di Grace Kelly) sul ruolo del babbo in Banca Etruria, le sparate finanziarie di Matteo Renzi e del suo giro di “nuovi esperti” del mondo del credito e del risparmio, in una ipotetica metafora, non hanno nulla neppure dell’ipocrisia British. Ricordano solo un’atmosfera casinara di collegamenti, anche massonici, che partono da Arezzo e si legano a rapporti più ampi, anche a livello internazionale (in quei luoghi operava il vecchio Gelli, lavorando ufficialmente alla Permaflex con il progetto “Dormire”).
Ma quello che sta accadendo ci induce a pensare a una metafora, al fatto che tutto questo può diventare la sceneggiatura di un altro film giallo: “Il suicido perfetto”. Anzi, dato che si fa uso di vocaboli stranieri, lo chiameremmo “L’harakiri perfetto”, di un partito, il Pd, e del suo attuale leader, Matteo Renzi. Con un finale banale per i protagonisti, ma probabilmente drammatico per l’Italia.
Al contrario che nel film di Hitchcock, questa volta il piano arruffato rischia infatti di andare a segno. Ogni giorno lo scenario cambia: dalle liti furiose tra Bankitalia e Consob, all’elenco dei crediti deteriorati, a nuove scoperte su date e circostanze sospette, alle querele civili e non penali contro ex direttori del Corriere della Sera, a nuove rivelazioni, di fronte a una platea di risparmiatori fregati sempre più furente e a un paese che, secondo l’Istat, ha nel suo futuro un rischio di povertà per 18 milioni di persone e vede le banche come il fumo negli occhi.
La rissa in Commissione, sui media e tra i partiti avviene con un’insistenza, nella contrapposizione politica, con un’acredine inusitata intorno a una vicenda squallida che svela alla fine tutta l’inconsistenza, tutte le contraddizioni della svolta bancaria operata in Italia dalla fine del 1992 e abbracciata dai “nuovisti” del Partito democratico nel complesso rapporto tra banche e politica.
Renzi è quasi tafazziano nella disperata difesa del suo giglio magico, ma in fondo, anche in questa circostanza, appare proprio come l’erede di un rapporto ambiguo, soprattutto in questo tempo, tra la sinistra catto-comunista e le banche.
Si è sempre parlato, probabilmente a sproposito, di una lotta tra la finanza laica e una finanza cattolica in Italia. E’ un concetto molto aleatorio, perché forse pochi conoscono l’amicizia che esisteva tra Giordano Dell’Amore, presidente della Cariplo, e il cattolicissimo Enrico Cuccia, l’uomo della prima messa mattutina in Via della Passione. E ci sono molti altri segni di un laicismo che di fatto era più cattolico che non la presunta “finanza etica” dei devoti.
Mentre all’inizio degli anni Ottanta Enrico Berlinguer si preoccupava dell'”esautoramento della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”, c’erano ottimi amministratori comunisti nella banche popolari e nella banche cooperative che sapevano far funzionare bene i loro istituti di territorio. Poi c’era la “perla” del Monte dei Paschi di Siena, la banca più antica del mondo che aveva un retroterra ben preciso.
Se si guarda all’attuale Partito democratico, si vedono gli eredi di due cordate: quella sedicente cattolica, che parte da Andreatta, passa per Prodi e arriva a Bazoli e quella più frastagliata dei nuovi banchieri d’assalto che, attraverso la scuola McKinsey (una “religione” ad esempio per Alessandro Profumo), convincono i clintoniani alla Veltroni alle ragioni del rating, dei derivati, della banca universale e delle stock option. La cordata sedicente cattolica ha un unico obiettivo: esautorare Mediobanca, sradicare la banca d’affari che nasce dalla tradizione dei Raffaele Mattioli, dei Cuccia e dei Maranghi. L’altra ala del Pd bancario vuole uscire dal suo guscio protetto e vuole conquistare il mondo.
Se l’uomo delle cooperative, Giovanni Consorte, scalpita a cavallo del passaggio da un millennio all’altro, il presidente di Mps sposa addirittura la filosofia della grande espansione e si scontra con il Santander di Botin per l’annessione di Antonveneta, dei suoi sportelli del Nord-Est, ricavandone una perdita traumatica in piena crisi finanziaria.
Il Pd di Renzi si presenta subito con un finanziere renziano, Davide Serra, che scalpitava anche lui da Londra contro le Generali controllate da Mediobanca. Poi c’è l’amministratore di JPMorgan, Jamie Dimon, che dice “Renzi è ‘nu bravo guaglione”. Nell’affannosa ricerca delle responsabilità sul crack delle banche italiane, non si deve di certo dimenticare i controlli al “ducotone”, ma anche la spinta alla “spa” e poi il trading che furoreggia, con il desiderio di vendere e comprare titoli sempre più sofisticati per la gioia degli azionisti. I responsabili sono una folla di classe dirigente suggestionata da qualche furbone.
Quando arriva il patatrac, c’è alla Banca centrale europea il francese, poco europeista, Jean-Claude Trichet, che si distingue nell’assicurare liquidità alle banche francesi, Bnp soprattutto, e nel salvaguardare gli istituti tedeschi, mentre la signora Christine Lagarde, quella del Fondo monetario internazionale, vede bene un’Italia con la “troika” sul collo. Una vera signora!
Intanto il duo Monti&Fornero salassa gli italiani secondo regole europee e secondo il loro spirito di economisti “non umanisti”. Il primo è l’icona della Bocconi, la seconda ha un passato nella vigilanza anche di Banca Intesa.
Chissà se Renzi capisce qualche cosa di tutto questo o è al corrente di quello che sta accadendo. O è mal consigliato, o è completamente “sguercio” sulla realtà delle banche.
Ma proprio questo fatto bancario è un elemento determinante, quasi tra i più decisivi, nella disillusione degli italiani su Renzi. Molto di più che la riforma istituzionale, la legge elettorale, la raffica di “richieste di fiducia” in Parlamento.
Il vero senso del “suicidio perfetto” del Pd renziano è la difesa di un impasto traumatico: un’economia ancora zoppicante, ancora carica di incertezza; una disoccupazione giovanile inquietante; un passaggio troppo brusco sui contratti di lavoro tra rigidità e flessibilità, come se si fosse superata un’asticella accettabile.
Ma l’affare delle banche è come “il formaggio sui maccheroni” di un piatto che non piace agli italiani. E ancora più indigesta è questa difesa cocciuta, questa ricerca di altri responsabili (il governatore della Banca d’Italia), mentre le responsabilità sono ben divise tra tanti comprimari, governo compreso.
A ben vedere è questa la ragione del fuggi-fuggi dalla Leopolda, della nascita di un nuovo leader del tipo Pietro Grasso, che chissà che cos’ha a che vedere con la sinistra, e del fallimento di Fassino e Pisapia nelle mediazioni per ricomporre il centrosinistra.
Alla fine Piero Fassino pubblica un libro e spiega che in fondo, dopo dieci anni, il Pd passa dall’infanzia all’adolescenza. Giuliano Pisapia non ha più nemmeno il “Campo progressista” e da avvocato valuta le ragioni del magistrato Grasso.
In fondo, la vicenda renziana supera anche la metafora che ci fa venire in mente Hitchcock: in questo caso siamo quasi a un “harakiri di massa” perfetto, che potrebbe anche spiegare l’esistenza dell’Araba fenice: la rinascita politica, imprevista e imprevedibile, niente meno che di Silvio Berlusconi.
Forse aveva ragione Leonardo Sciascia quando sosteneva e si chiedeva: ma chi l’ha detto che quando si è toccato il fondo si risale inevitabilmente?