Grande è il disordine sotto il cielo, segnalava a suo tempo Mao Tse Tung. E aggiungeva: perciò la situazione è favorevole. Peccato che si riferisse alla Cina. Trasferito in Italia, il commento necessariamente s’inverte: perciò la situazione è desolante. Nella caotica e rissosa marcia verso le elezioni, s’ode a destra un suono stonato, a sinistra ne risponde un altro. Si mescolano e rimescolano le anagrafi di quel che resta dei partiti, ciascuno confidando di vincere qualcosa alla lotteria delle urne. E in questo traffico da ore di punta di una politica sconquassata, spicca un episodio apparentemente marginale ma in realtà indicativo: una sia pur modesta parte di ex An abbandona la casa-madre di Fratelli d’Italia, accusando Giorgia Meloni di averla trasformata in un partito personale (pure lei…), e trasloca – udite, udite! – nella nuova Lega di Matteo Salvini. Nuova, perché di quella originale non le è rimasto più nulla, neppure il nome e il colore del logo.
E’ interessante soffermarsi sulle motivazioni di questa singolare trasmigrazione: magari ricordando, per chi fosse di memoria corta, che il leader di questi viandanti della tessera è quel Gianni Alemanno (uno cresciuto nel fu-Msi di Giorgio Almirante) che appena pochi anni fa (estate 2011) tuonava contro il leader del Carroccio sul trasferimento di alcuni ministeri al nord, scambiandosi con lui accuse al vetriolo. Ma la politica, si sa, è l’arte dell’impossibile; così oggi non fa specie sentire il buon Gianni che si rivolge al buon Matteo elogiandolo per aver dimostrato “coraggio e visione politica”. Mah… Quel che merita sottolineare è tuttavia la motivazione di questo inedito feeling politico: “Salvini ha creato una Lega nazionale e non secessionista, e che interpreta pensieri comuni della stragrande maggioranza degli italiani del centrodestra”. Eccolo lì, spiegato con esemplare chiarezza il testa-coda del segretario leghista: c’era una volta il nord, adesso “benvenuti al sud”, per dirla con il titolo di un celebre film.
Detto papale papale: tutta un’altra Lega. Se sia o no di bassa lega, saranno le urne di primavera a dirlo. Dove si capirà davvero se e quanto questo capovolgimento totale sarà o no premiato dagli elettori. Un riscontro atteso con particolare interesse specie dentro il Carroccio, per le ripercussioni interne che potrà avere. Oggi i suoi leader grandi e piccoli stanno tutti rigorosamente allineati e coperti dietro il segretario, proclamando “ordine e disciplina”. Ma non bisogna dimenticare il singolare percorso della Lega: ultimo partito a nascere nella prima Repubblica, oggi il solo sopravvissuto dei vecchi. Dai quali ha mutuato liturgie, regole e tattiche: tra le quali una delle principali insegna che in campagna elettorale bisogna accantonare ogni critica e marciare verso le urne a falange macedone. Proprio la storia della prima Repubblica insegna peraltro quanto spietata sia la resa dei conti se l’appuntamento con gli elettori non va secondo previsioni & desiderata.
I big del Carroccio oggi si schierano senza defezioni con il segretario, a costo di digerire un singolare “embrassons nous” con gli ex fascisti. Ma è il segreto di Pulcinella che le posizioni all’interno siano molto differenziate, specie sulla svolta sovranista e nazionalista; un malumore che ha in Bobo Maroni il suo più visibile rappresentante; senza dimenticare che contestualmente o quasi si voterà per la Regione Lombardia, alla cui guida lo stesso Maroni intende ricandidarsi, e con un sistema di alleanze inviso a Salvini. Ma occhio soprattutto a Giancarlo Giorgetti, l’uomo più silenzioso ma anche più influente del Carroccio: potrebbe essere lui, oggi in prima fila nell’endorsement pro Matteo, a guidare una terza fase della Lega, dopo quelle di Bossi e Salvini. Perché il cielo, si sa, è uguale dappertutto; e che il disordine sia grande anche in quello del nord Italia, è di tutta evidenza. Meglio tenere pronto l’ombrello.