Gioco a rimpiattino tra Renzi e Berlusconi. Silvio aspetta di capire quale sarà la prossima mossa di Matteo, se — e al momento è così — insisterà sul voto a giugno o addirittura ad aprile. Gli emissari del Cavaliere sono tornati a parlare con gli ambasciatori dell’ex premier. L’offerta è estendere il premio alla coalizione, mettere uno sbarramento uguale per Camera e Senato (al 5% o anche più basso), capilista bloccati anche al Senato, tanto per rispettare l’esito referendario che attestava una maggiore esigenza di partecipazione del popolo come rilevato da Mattarella. 



Un’offerta simile è targata anche Area popolare (Ncd-Centristi per l’Italia), che stasera — alla presenza di Alfano — si è riunita per fare il punto. Ma i vertici di Pd e FI al Senato starebbero anche discutendo su un Mattarellum rovesciato, aumentando fino al 50% la quota di proporzionale. Però — riferiscono fonti dem — in questo caso il lavoro sarebbe lungo e Renzi difficilmente potrebbe approvare questa direzione. 



Il Cavaliere è comunque disponibile a portare avanti un lavoro di modifica con il Pd sulla legge elettorale, ma vuole il voto a ottobre, nella speranza che la Corte di Strasburgo prima gli ridia l’agibilità politica. 

Ma lo scontro è tutto nel Pd. Con Bersani che ha spiegato di non minacciare la scissione ma allo stesso tempo di non garantire nulla, perché occorre assicurare un momento di democrazia interna, con il congresso. Bersani dice no ad un gioco allo sfascio: Grillo ha controllato l’ondata di populismo, ma ne arriverà un’altra. La tesi è la stessa di D’Alema, ovvero che in presenza di un “blitz” renziano occorrerà mettere un argine, pur premettendo che nessuno in realtà vuole uscire dalla propria casa. Il piano A di Bersani prevede un campo più aperto, senza alcun abbandono, un fronte con dentro Emiliano, D’Alema, un mix di vecchi e nuovi dirigenti con  prospettiva anti-renziana. 



Renzi invece domani farà partire il timing per un tentativo di accordo sulla legge elettorale. Partendo dal Mattarellum con un giro di consultazioni. L’alternativa è il voto subito. Il Pd si prepara insomma ad accelerare sulla legge elettorale. Nelle prossime ore, spiega un deputato dem di primissimo piano, sarà avviata un’iniziativa “formale” nei confronti degli altri partiti, per chiedere di avviare un confronto, senza attendere l’arrivo delle motivazioni della sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum. Il Pd, infatti, vuol arrivare alla direzione del 13 febbraio potendo dire se c’è o no una volontà concreta di discutere. E l’interlocutore privilegiato, per il Nazareno, è Forza Italia, che però non ha alcuna fretta di andare al voto.

Si potrebbe convincerla con un’ipotesi formulata tempo fa da Denis Verdini, che prevede un Mattarellum corretto, con una quota di maggioritario e di proporzionale pari al 50%. Altrimenti Consultellum. Che gli azzurri non vogliono assolutamente, perché li lascia in mezzo al guado: o fare un listone di centrodestra in cui bisognerebbe accordarsi con gli altri partiti per fissare i capilista bloccati (e dunque chi sarà sicuro di entrare in Parlamento) o correre da soli, rischiando così di essere marginalizzati e schiacciati dai sovranisti. Né l’una né l’altra, ovviamente, ipotesi piacciono a Silvio Berlusconi.

Sempre più forte quindi il pressing affinché Renzi provi sul serio ad intraprendere un percorso di modifica della legge elettorale. Da giorni è in corso un lavoro di moral suasion dentro e fuori dal Parlamento, un dialogo aperto che coinvolge anche i vertici istituzionali per cercare di creare le condizioni per armonizzare le due leggi elettorali. Renzi resta sempre sulla linea delle urne ma non si sottrarrà ad un confronto qualora il tentativo non sia quello di allungare semplicemente i tempi. A patto quindi che si arrivi a decidere la data del voto. La tesi è portare magari la discussione fuori dalle commissioni e dal Parlamento, con un rapido giro di consultazione. I renziani ribadiscono la necessità di stringere i tempi, anche per evitare di arrivare ad una campagna elettorale con il peso di una legge di stabilità e in presenza di un braccio di ferro con l’Europa. 

Il Capo dello Stato ha più volte ricordato che per sciogliere le Camere servono “regole elettorali chiare e adeguate”. Leggi elettorali che tra Camera e Senato “siano omogenee e non inconciliabili fra di esse” e “pienamente operative affinché non vi siano margini di incertezza nelle regole che presidiano il momento fondamentale della vita democratica”. Si è dunque parlato di omogeneizzare le due leggi e questo, ritengono anche al Colle, vale anche dopo la sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum. Dunque innanzitutto è necessario attendere le motivazioni della Consulta, che tutti attendono come “corpose e significative”, ma un primo passo che al Quirinale si attendono è innanzitutto e quanto meno “aggiustare” la legge elettorale del Senato, che ha due problemi ineludibili: la mancanza di un equilibrio di genere e norme chiare sulle modalità di indicazione delle preferenze. Senza questi aggiustamenti, che potrebbero essere fatti in tempi brevissimi, lo scioglimento delle Camere è assai arduo, come è ben chiaro a tutti i partiti Pd compreso. 

Fatte queste limature minime, per il Quirinale sarebbe opportuno procedere a una “omogeneizzazione” ulteriore per dare la certezza di avere dopo il voto una maggioranza certa. Però, se tutto precipitasse e fossero state fatte le modifiche minime, ovviamente il capo dello Stato non potrebbe tenere artificialmente in vita la legislatura, nonostante la situazione nazionale e internazionale suggerisca calma e un governo che gestisca la situazione nei prossimi mesi. Ma Renzi ha le sue priorità: non ha un lavoro, non può permettersi il congresso del partito pena la sconfitta, e non può fare o avallare la manovra correttiva che denuncerebbe i buchi di bilancio che ha provocato per comprare il consenso per il referendum. Deve andare al voto. Dio salvi l’Italia.