E’ appena terminato il Festival di Sanremo e il Corriere della Sera vuole sempre fare notizia per battere i concorrenti, cercando di guadagnare (purtroppo sinora invano) le copie perdute in questi anni sfortunati, nonostante le intuizioni di Luca Cordero di Montezemolo e di Paolo Mieli con La casta, il bestseller, compilato da due “bravi” manzoniani, che ha regalato l’irruzione definitiva in politica di un comico e dei suoi partners.
Adesso che è passato un decennio, ma la copie calano sempre e Sanremo è finito, qualcuno ha ritenuto che ci voleva qualche cosa di forte e innovativo. Ed ecco che compare una pagina intera di intervista a Piercamillo Davigo, il presidente dell’Anm (Associazione nazionale magistrati), presentato come uno degli “eroi” dell’operazione “Mani pulite”, un vero leader. E’ noto, del resto, che in Italia il presidente dell’Anm è un personaggio quasi da “Casa bianca” o da “Whitehall”, la residenza dei sovrani inglesi nel Cinque e Seicento. Il paragone, si sa, è improprio, per una democrazia rampante e antica come quella italiana, rispetto alle decadenti e superate democrazie anglosassoni (si fa per dire). Là si pensa ancora al “check and balance” contro il governo, mentre qui la politica riesce, solo in poche occasioni, a essere “check and balance” contro la magistratura.
Precisati schematicamente i concetti base della democrazia all’italiana, veniamo al Davigo-pensiero, a venticinque anni dalla grande “purga” contro i corrotti in politica e alla ripulitura (per la verità è sparita) della classe dirigente italiana. Davigo che era un pubblico ministero e che ora è giudice di Cassazione (in Italia ci sono anche questi salti, perché il pm è un magistrato a tutto tondo completamente indipendente) è al solito l’esatto contrario del personaggio animato da “un’allegria sfrenata”. Dice di fila, subito, per dettare l’agenda dell’intervista: “E’ drammatico quanto poco sia cambiata la situazione e quanto sulla corruzione peggiori la deriva dell’Italia nel panorama internazionale”; “A livelli diversi, finalità e modalità diverse, è un Paese che sta morendo. C’è sfiducia, la gente non va più a votare, espatria”. “Bisogna cominciare dalla scuola”; “L’effetto domino non fu innescato da un sussulto di coscienza civile, ma dal fatto che erano finiti i soldi”. Solo questo incipit tambureggiante fa titolare al giornale di via Solferino: “A 25 anni da Mani pulite l’Italia è ancora più corrotta”. Insomma i soci di quello che fu chiamato, vero o non vero, il “golpe mediatico-giudiziario” fanno l’analisi della sconfitta, senza naturalmente alcuna autocritica.
Forse Davigo è anche un po’ depresso e per questo così scorato. Forse cerca di dimenticare di dire che alla commemorazione delle “nozze d’argento” di Mani pulite c’erano circa quattro gatti che hanno dovuto ascoltare lui e l’amico, “eroe” per eccellenza, poi controverso politico, Antonio Di Pietro.
Ora, lasciando stare facili o improbabili ironie, quello che ci si chiede legittimamente è: ma com’è possibile che dopo venticinque anni di lotta cominciata e poi proseguita senza quartiere, con nomine “ad hoc” e a battaglie di ogni tipo, la corruzione che si può addebitare a una “sedicente” classe politica sia addirittura aumentata? Chi ha fermato quest’azione “purificatrice” che era all’ordine del giorno da venticinque anni? Nemmeno la Guerra delle due rose o la Guerra dei Trent’anni sono arrivate a creare una simile confusione inestricabile.
Quello che alla fine racconta Piercamillo Davigo al “giornalone” che sapeva (parola del fu presidente della Repubblica, Francesco Cossiga) tutto in anticipo dalla stanze “riservate” della Procura di Milano, è la storia di una sconfitta storica. Facendo un rapido bilancio di quanto è avvenuto, noi abbiamo oggi questo risultato: venticinque anni di lotta alla corruzione sono falliti; una classe politica democratica è morta, collocata spesse volte in carcere ( a volte con marchiani errori), sostituita da “comparse” e comici, il Paese si è impoverito ed è al momento quasi ingovernabile.
Come può un cittadino italiano avere fiducia delle istituzioni, di qualsiasi istituzione? Altro che scuola! In questo caso ci vuole una serie di corsi intensivi su che cosa fare o non fare nella vita che Piercamillo Davigo e i “suoi” stabiliranno in una raccolta di codici comportamentali.
Ma forse il problema non è questo. Il vero problema è che quel 1992, quando l’operazione Mani pulite partì, c’erano molti interessi convergenti sull’Italia. C’erano poteri forti internazionali che avevano adocchiato i “gioielli” dell’industria manifatturiera italiana, c’era una classe dirigente che non avrebbe mai sposato i criteri del liberismo selvaggio che poi divenne ideologia vincente anche in questo Paese. E, secondo i dettami di quest’ideologia, si cercò di costruire l’uomo nuovo, con le nuove classi dirigenti internazionali all’ombra della finanza a spiegare agli “incapaci” promossi che il futuro del capitalismo si coniugava con una perdita di valori democratici, con la dittatura di un pensiero unico e con la sostituzione del cittadino con il più comodo “consumatore”.
Avvenne in questo modo un fatto incredibile. Nel 1989, in Italia, fu varata un’amnistia sul fallimento illecito che salvò persino il noto democratico brezneviano Armando Cossutta e tutti i suoi più cari amici, che prendevano soldi direttamente da Boris Ponomarev. Chi aveva avuto soldi dai nemici fu assolto e si mise a pontificare e diventare liberal, mentre i democratici che avevano retto l’Italia durante la guerra fredda furono tutti messi sotto inchiesta tre anni dopo, per aver preso soldi da amici e compiacenti “capitani di sventura”. Era evidente che il sistema andava cambiato, ma liquidarlo con la criminalizzazione della parte che aveva fatto diventare l’Italia un grande Paese, fu una “svista” piuttosto grave, così come fu grave non ripartire da capo e allargare a tutti l’amnistia del 1989.
Parallelamente, proprio a partire dal 1992, partì in Italia il più incredibile e impensabile programma di privatizzazioni di cui ora tutti si sono accorti con disappunto. La “svendita”, così oggi viene chiamata, avvenne sotto gli occhi di quei magistrati avveduti che si occupavano di altro.
L’operazione di pulizia, dopo che con una improvvisata “irruzione televisiva” i magistrati di Mani pulite bloccarono una legge di riaggiustamento delle diseguaglianze di indagine, fu incredibile e tanti parlarono di ingerenza della magistratura senza precedenti.
Ma l’ingerenza della magistratura continuò sull’agenda della politica italiana, che alla fine quasi scomparve. Quindi, in venticinque anni, non essere riusciti a sconfiggere la corruzione è un rebus che lascia esterrefatti. Ma di chi è la colpa di tutto questo? Del Diavolo, del male, del fantasma di Licio Gelli, di Berlusconi e dell’avvocato Previti, della massoneria, del dna degli italiani?
Forse Davigo dovrebbe fare un’analisi più attenta di quanto è avvenuto in questi anni. E chiedersi come mai si assiste oggi a questo fallimento nonostante una magistratura così attenta e sempre mobilitata alla ricerca del corruttore colpevole.
Certo, ognuno ha il suo destino segnato dalle proprie azioni. Gli inglesi conobbero lo “Habeas corpus” con la Magna Carta del 1215 e ribadirono il rapporto tra giustizia e cittadino, tra potere e suddito alla fine del ‘600 con la “Gloriosa rivoluzione”. Alexis de Tocqueville, che studiò la democrazia americana, continuava a lodare la discrezione, la voglia di non comparire dei giudici americani e inglesi. Qui invece, a fare il magistrato, soprattutto “d’assalto”, si diventa famosi anche se si deve fare l’analisi di una sconfitta storica.
Da noi, ormai, il pool di Mani pulite è ormai più noto anche del Quartetto Cetra. Eppure le “canzoni” sulla corruzione le ha sbagliate tutte. Forse tra venticinque anni qualcuno festeggerà comunque le “nozze d’oro”. Speriamo con qualche ascoltatore presente.