Renzi non ha preso alcun impegno nei confronti del governo: è questo il tarlo della minoranza del Pd, quel dilemma che ha fatto dire a Bersani “vedremo cosa fare”, che significa: non escludiamo la scissione. Molti gli indizi che a detta degli oppositori parlano della “cattiva volontà” di Renzi di fare un congresso lampo (entro aprile) per votare a giugno. Invece Stefano Folli, editorialista di Repubblica, è più cauto e non crede a questo scenario, che deporrebbe a netto sfavore dell’intelligenza politica del leader Pd: in direzione Renzi si è mostrato più prudente, meno giocatore d’azzardo. “La partita che si gioca quest’anno in Europa non consente colpi di testa”, ha scritto Folli, e Renzi questo dovrebbe saperlo.



Folli, se è così, come mai Renzi vuole fare precipitosamente il congresso e chiuderlo in aprile? Nessuno ci impedisce di pensar male.

Lunedì ho visto in Renzi un tono diverso rispetto al solito che conosciamo. Adesso bisogna vedere se i fatti seguono le cose dette. Il fatto che la minoranza sia così innervosita non significa di per sé che siamo realmente alla vigilia della scissione. E’ vero, però, che il congresso anticipato contraddice alcune delle aperture che sono state fatte da Renzi in direzione.



Dire congresso è facile, poi bisogna vedere come lo si fa. Anche questo è uno dei timori della minoranza.

Se si tratta di un congresso meramente mediatico allora ha ragione la minoranza, non si va da nessuna parte. Se invece fosse il campo di un confronto politico reale sull’identità del partito, il discorso sarebbe diverso. Nel frattempo sospenderei il giudizio.

A Renzi serve ancora un Pd unito? Oppure potrebbe essere tentato dal pdR, il partito di Renzi?

Se per partito di Renzi intendiamo la formula giornalistica che indica un Pd con Renzi egemone, questo è già davanti a noi. D’altra parte un partito vero e proprio di Renzi fuori dal Pd non avrebbe prospettive. L’ultima occasione politica per fare il suo partito personale Renzi l’ha avuta con il referendum, ma la sconfitta ha cambiato tutto e se il segretario del Pd non se ne rende conto commette un grave errore. 



Come giudica la posizione di Orlando?

Orlando si è posto in uno snodo molto importante degli equilibri interni al Pd e potrebbe svolgere un ruolo via via più significativo se Renzi dovesse commettere degli errori. 

Quando parla di errori che cosa intende?

Riprendere la sua corsa come se niente fosse, contraddicendo l’approccio che abbiamo visto lunedì in direzione; pensare ancora di staccare la spina al governo. Comportarsi, insomma, come se avesse vinto il referendum. Se così facesse, si metterebbe in un grosso guaio.

Renzi visto da Bruxelles oggi è affidabile come prima? 

Nessuno gli ha dato un assegno in bianco, né a Bruxelles, né a Berlino. Renzi è considerato un interlocutore importante nella misura in cui si rivela affidabile, cioè portatore di stabilità. Se viceversa accresce l’incertezza, magari per ragioni di rivincita personale, e contribuisce a rendere più fragile l’Italia o addirittura a destabilizzarla politicamente, il discorso cambia. C’è attenzione e rispetto verso Renzi, ma non la nostalgia di lui a Palazzo Chigi.

 

Diciamo pure che il segretario del Pd ha avuto le spalle coperte da Napolitano e da una Casa Bianca amica. Ora cosa cambia?

Non c’è dubbio. Quando in Italia le istituzioni sono in crisi o attraversano momenti di turbolenza, l’importanza del Quirinale aumenta. Ed è così anche in questo caso.

 

(Federico Ferraù)