Aveva individuato in Renzi il figlio politico mai trovato nelle file del suo partito, e c’aveva indovinato. Ma adesso Silvio Berlusconi, malconcia “turris eburnea” nella maionese impazzita della politica italiana, non è più un renziano convinto, anzi. Da rabdomante del consenso qual è sempre stato, ha capito che l’aria per il fiorentino è cambiata sostanzialmente, in Italia, e molto al di là di quel 40% che comunque ha votato “sì” al referendum istituzionale. Per cui, istintivamente, Berlusconi si chiede “chi, dopo Renzi?”. E si risponde con un solo nome: Michele Emiliano, attuale governatore della Regione Puglia, candidato alla segreteria del Pd: “È uno che sa parlare in modo diretto alle persone”, dice di lui.



E bravo il Cavaliere, l’occhio è ancora quello fine di un tempo. Non che arrivi a fare il tifo per Emiliano: sempre comunisti sono, questi del Pd. Però i due si sono in qualche modo simpatici, e anche nel 2013, quando Berlusconi – ancora alla guida del Popolo della libertà – andò in Puglia per qualche comizio pre-elettorale, si trovò uno striscione sulla facciata del Comune dove imperava Emiliano da sindaco: “Caro Silvio, bentornato a Bari”, firmato dai primo cittadino. Un gesto quasi ironico, ma comunque cordiale, che suscitò polemiche, ma, sotto sotto, gli piacque. E dopo l’assoluzione dell’uomo di Arcore nel processo Ruby, Emiliano – che in quanto ex pm parla “pesante” in materia – osservò che “la Procura di Milano dovrebbe, in maniera istituzionale, prendere atto della sconfitta e scusarsi”. E non a caso Berlusconi ha più volte ripetuto che “Emiliano è una brava persona”.



Il dato di sostanza è che il giudice barese è oggi l’unico tra i nuovi capi e capetti del Pd (in altri tempi Massimo D’Alema li chiamava “cacicchi”) che sembra avere le carte in regola o per battere Renzi al congresso o, meglio, per guidare una scissione che sancisca l’evidenza: che cioè Renzi è il leader naturale di un nuovo partito di centro, semmai di centrodestra, e che le idee della sinistra europea, non più post-comunista, devono e possono trovare anche in’Italia un’altra casa, senza scandalo per la buonanima dei partiti figliati dal vecchio Pci. Una casa che magari rilevi l’eredità sociale, se non il brand, del Pd e lasci Renzi al suo “partito della nazione”, cioè a raccogliere l’eredità di Berlusconi.



Cerchiamo di capire perché. Innanzitutto, Emiliano è credibile quando dichiara la sua passione per la politica intesa come servizio civico e non come mestiere. Diversamente da Renzi, che non ha mai svolto alcun vero lavoro in vita sua se non qualche periodo come dipendente nell’aziendina di papà, Emiliano ha un buon curriculum professionale. Variegato.

Figlio di un calciatore professionista divenuto poi piccolo imprenditore, il giovane Michele – recita di lui Wikipedia – cresce tra Bari e Bologna, gioca a basket, si laurea in giurisprudenza, fa pratica da avvocato, poi a 26 anni supera il concorso in magistratura e viene spedito ad Agrigento, al fianco del giudice-ragazzino Rosario Livatino, poi ucciso dalla mafia, oggi in odore di santità, collaborando con Falcone. Dopo sei anni a Brindisi nel ’95 torna a Bari come sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia (Dda), e ci resta finché nel 2203 si candida a sindaco di Bari, vince e governa per due legislature tra vasti consensi, tanto da vincere poi anche le regionali e passare la fascia da sindaco a uno dei suoi più diretti collaboratori, l’attuale primo cittadino Antonio Decaro.

“Faccio politica come servizio civile, ma se non ne riscontro più le condizioni posso in ogni momento tornare al mio vecchio e amatissimo mestiere, il più bello del mondo, se è vero che la metà di tutta la narrativa e di tutta la fiction mondiale è dedicato appunto al personaggio dell’investigatore”, dice Emiliano, e come dargli torto. Sa di diritto; e ha coraggio, perché avere a che fare con la mafia è un po’ più complesso che rifare la viabilità di Ponte Vecchio.

Ma come la pensa e quanto è “di sinistra”? Lo è al punto giusto per guidare un partito di sinistra nell’era confusa dei deficit di mercato, della globalizzazione discussa, dell’euro in crisi e della flessibilità negata. Un esempio: i casi Ilva e Tap. Emiliano ha sempre detto che l’Ilva va, sì, salvata, ma in condizioni ambientali rivoluzionate, per azzerarne la nocività omicida avuta in passato. Un modo – sostiene – ci sarebbe: alimentare con ecologico gas gli altoforni di Taranto. Magari facendo approdare il gasdotto Tap più a Sud di quanto abbiano pianificato i suoi progettisti, per alimentare con quel metano anche la centrale Enel di Brindisi, che potrebbe riconvertirsi appunto dall’attuale inquinantissimo carbone al gas, facendo così due cose buone, per sé e per l’Ilva.

Dunque non un “no” di stampo grillino – un “no-Tap”, un “No-Ilva” -, ma una posizione argomentata e solida, capace di mettere in crisi gli interessi sfidandoli sul loro terreno. Inutile dire che il progressismo cieco – e inconcludente, come le cronache dimostrano – del governo Renzi non ha considerato minimamente la linea Emiliano, procedendo come un panzer sulla propria strada per poi finire contro un muro… 

Certo, Emiliano non sa di economia, ma nemmeno Renzi, se è per questo, il quale non ha avuto mai però neanche l’umiltà di farsi consigliare. Forse Emiliano ce l’avrebbe. Compattando attorno a sé i malpancisti anti-renziani del Pd, il governatore della Puglia – se riuscisse ad accedere di più alle televisioni nazionali – potrebbe giocarsela anche nelle elezioni politiche, e sicuramente nelle primarie del Pd. Ma potrebbe davvero convenirgli anche prendere la guida di un partito scissionista, visto che la “cosa di sinistra” ideata da Giuliano Pisapia sembra nuovamente una bella idea priva di leadership e somiglia molto, di fatto, a una renzata senza Renzi.

Agli occhi della base del Pd non è banale però assumersi la responsabilità della scissione: per questo Emiliano dovrà giocarsi prudentemente le sue carte al congresso e fuori, per lasciare che la colpa del misfatto ricada, come sarebbe giusto, a chi sotto-sotto lo sta preparando da quattro anni, cioè a Renzi, che ha congelato e sospeso il dibattito interno; anche grazie al fatto che il segretario uscente ed ex premier gode di un clamoroso favore mediatico, e per chiunque altro è difficile farsi sentire dai cittadini.

Inoltre, il governatore pugliese dovrà guardarsi bene dai “baci della morte” di alcuni compagni di strada, come quello di Massimo D’Alema, la cui battaglia anti-renziana non ha vinto proprio nulla, nel senso che è coincisa, ma non ha determinato la sconfitta referendaria: dopo Renzi, è pur sempre Baffino il più antipatico agli italiani, e proprio la Puglia vide le scorrerie salentine dei suoi amici in anni non sospetti, la cui rievocazione nuocerebbe a qualunque causa politica imparentata. È vero che ci si può scegliere gli avversari, ma non i tifosi. Ma al prudente Emiliano non mancherà il modo di far capire che certi “endorsement” lui proprio non li invoca. Infine: dicono sia populista. Il giusto, sì: ma dopo Berlusconi e Renzi, Emiliano agli italiani sembrerà un tipo prudente.