Ancora una volta si conclude una riunione del Pd, poco fa l’Assemblea Nazionale, ma gli esiti non sono del tutto chiari. Il presidente del Pd Matteo Orfini, chiudendo i lavori e sciogliendo l’Assemblea, ha pronunciato: «Appena lasceremo la sala convocherò la direzione per martedì, con all’ordine del giorno la nomina della commissione congresso che dovrà elaborare, recepire le regole. L’assemblea è sciolta e il Congresso è formalmente indetto». L’intervento all’uscita di Enrico Rossi è tutto un programma: «Oggi Emiliano ha fatto un’ultima proposta di responsabilità. Sta a Renzi, fino all’ultimo vediamo ma finora le nostre proposte non sono state accolte», e poi lo stesso Governatore della Puglia corregge il tiro rispetto al suo intervento, «nessun passo indietro, assolutamente no, ho abbassato i toni per cercare un’intesa». A questo punto gli elementi chiari sono questi: Congresso anticipato entro 4 mesi, martedì la Direzione Pd per decidere le regole e la commissione, sostegno al Governo Gentiloni ma senza nessuna data riferita sulle prossime elezioni. Tutto il resto, è mistero… La minoranza e Michele Emiliano hanno provato un estremo tentativo di intesa e nelle prossime ore le diplomazie, a telecamere spente, proveranno a ricucire: forse già domani si saprà se la scissione si sarà consumata o se un improvviso cambio di passo sarà avvenuto nella lunga notta de Partito Democratico.



Quando l’assemblea nazionale Pd si avvia verso la conclusione con gli ultimi interventi, parla Michele Emiliano e la svolta clamorosa si prospetta all’orizzonte: quando la scissione tra minoranza e Renzi sembrava consumarsi, dopo l’ufficialità dell’apertura del Congresso Anticipato e il via alle primarie nei prossimi giorni, il Governatore Puglia interviene così. «Rimanere insieme è a portata di mano. È una questione legata a piccoli meccanismi, mi pare. Io sto provando nei limiti delle mie possibilità, a fare un passo indietro che consenta di uscire tutti di qui con l’orgoglio di appartenere a questo partito. Questo può farlo – ha aggiunto – per struttura, per vocazione solo il segretario. Io ho fiducia in lui e nella sua capacità di guidare questa gente meravigliosa». Si allontana dunque la scissione, o resta un caso isolato per lui e forse anche per Bersani, mentre Rossi e Speranza stapperanno definitivamente? Questo ancora non è dato saperlo, anche perché alcune voci a Roma riferiscono di come Renzi potrebbe anche non replicare al termine dell’Assemblea. Resta l’invito di Emiliano, «Il segretario uscente è un candidato molto forte, non dovrebbe avere problema a che anche gli altri candidati presentino la loro proposta a tutti. Disinneschiamo il casus belli convocando una conferenza programmatica che tolga gli alibi a chi poi perderà il congresso. Vi consegno stasera, con la massima determinazione, la possibilità vera di togliere anche a me ogni alibi al processo di scissione».



E alla fine ha “vinto” Renzi: si va a Congresso anticipato, ecco quanto fuoriesce a metà degli interventi dell’Assemblea Nazionale del Pd in corso ancora a Roma. Non sono pervenute candidature alla segreteria dopo le dimissioni di Matteo Renzi, dunque al termine dell’Assemblea nazionale del Pd «partirà automaticamente il congresso anticipato». Lo annuncia il presidente Matteo Orfini dopo l’intervento di Gianni Cuperlo, e aggiunge anche come nei prossimi giorni fisserà la direzione che nominerà la commissione per il congresso. a minoranza non ci sta e arriva così praticamente ufficializzata la scissione. «Ci hanno bastonato e dicono di soffrire loro. Hanno alzato un muro. Tutti, anche Veltroni e Fassino. Sia nel metodo che nella forma. Tutti interessati a difendere Renzi», così Enrico Rossi, dopo gli interventi dell’assemblea dem. Per Rossi sono maturi i tempi per formare una nuova area, «già ci sono stati milioni di cittadini che hanno abbandonato A quando la scissione? I tempi sono quelli per la costruzione di una nuova forza con quei cittadini che non considerano più a sinistra il Pd». Intanto nell’intervista a In mezz’ora parla Pier Luigi Bersani che con nasconde il grosso fastidio per la relazione del segretario dimissionario: «Siamo a un punto certamente delicato. Una parte pensa che si va a sbattere, e con il Pd anche l’Italia. Non diciamo abbiamo ragione per forza, vogliamo mandare a casa Renzi per forza, diciamo che vogliamo poter discutere di una urgente correzione di rotta. Il segretario ha alzato un muro, ha detto: si va avanti così. Vuol dire fare un congresso cotto e mangiato in tre mesi dove non sarà possibile aprire discussione. Ma c’è ancora la replica da sentire».



Non è bastata la mediazione di Walter Veltroni e neanche quella di Gianni Cuperlo, all’Assemblea Nazionale Pd di oggi si è forse consumata definitivamente l’esperienza della minoranza dem all’interno del Partito Democratico. Con una nota giunta poco fa in redazione, il commento alla relazione di Matteo Renzi è del tutto negativa per la minoranza di Rossi, Emiliano e Speranza: «La relazione di Renzi non solo ha chiuso a ogni nostra richiesta ma persino oggi, in questa situazione, abbiamo dovuto sentire toni da stadio. Se queste sono le decisioni di Renzi, ricostruiremo il progetto da un’altra parte. Nei prossimi giorni verranno decise le tappe del nuovo percorso: «Con calma, senza enfasi». Pare dunque non abbia inciso il discorso di Veltroni, ultimo tentativo di mediazione con i settori di aspra opposizione alla maggioranza renziana; «Da molto tempo non partecipo alle riunioni degli organismi del partito, le mie scelte di vita mi hanno spinto a decidere così, era e sarà giusto così ma prendo pochi minuti per dire quanto mi sembra sbagliato quanto sta accadendo e per rivolgere un appello a tutti perché non si separi la loro strada da quella di tutti noi. Lo faccio non usando l’argomento tradizionale dell’invito all’unità ma dicendo ai compagni e agli amici che delle loro idee, del loro punto di vista il Pd ha bisogno». Per Valter Veltroni la Sinistra non può assolutamente permettersi di essere minoranza per scelta: non ne ha diritto, rischia così di rompersi oggi il più grande partito della sinistra europea per ragioni che non resteranno nei libri di storia». Ma il dado ormai sembra tratto…

Il discorso di Matteo Renzi all’Assemblea Nazionale del Pd si è conclusa con due punti chiave: appoggio al governo Gentiloni, anche senza il voler dire esplicitamente “fino a fine legislatura” e sopratutto la questione sulla candidatura. «Per sistemare questa assurda situazione poteva valere la pena fare un passo indietro, ci ho pensato. Però ci ho pensato sul serio, perché mai come questi due mesi e mezzo siamo stati laici nelle decisioni, abbiamo ascoltato tutti, ma accettare oggi che si possa dire di no a una candidatura, accettare che possa essere eliminata una persona, sarebbe un ritorno al passato. Noi stiamo insieme per confrontarci. Non accetteremo mai, mai, mai e poi ami che qualcuno ci dica ‘tu non vai bene, tu nei sei parte di questa comunità. Avete il diritto di sconfiggerci, non di eliminarci». Il concerto di Renzi è chiaro, “non potete chiedermi di non ricandidarmi, non può passare la linea che i dirigenti decidano chi sì e chi no all’interno del Partito, non usiamo metodo Casaleggio o metodo Arcore…”. Fondamentale a questo punto la questione delle regole sul Congresso anticipato: dopo che Matteo Renzi ha rassegnato le dimissioni da segretario del Pd, nell’assemblea del partito entro le 13.30 sarà possibile presentare candidature per eleggere un successore già oggi. Le regole dello statuto dem dispongono infatti che sia possibile eleggere subito in assemblea un altro segretario e a quel punto il congresso si terrebbe alla scadenza naturale, a dicembre. Servono 117 firme di delegati per presentare una candidatura e Matteo Orfini, ha fissato il termine per farlo alle 13.30. Ma se invece non ci saranno candidati o se comunque nessuno riuscirà ad ottenere la maggioranza dell’assemblea Nazionale, Orfini procederà alla convocazione del congresso anticipato, d oggi con scadenza a 4 mesi massimo.

Sta ancora parlando il segretario del Pd Matteo Renzi all’Assemblea nazionale, il più atteso di questi tre anni alla guida del Partito Democratico: prima del suo intervento, il presidente Matteo Orfini ha ufficializzato le dimissioni formali di Renzi da segretario dem, «Sono arrivate le dimissioni formali del segretario e quindi per statuto si prevede la convocazione dell’assemblea». Così il presidente del Pd Matteo Orfini in apertura dell’assemblea aprendo per due ora la possibilità, prevista da Statuto, di candidarsi alla segreteria con 117 firme dei delegati. Il rilancio poi dell’intervento di Renzi non vede però mani tese particolari verso la minoranza, seppur un richiamo all’unità è sempre citato in ogni passaggio di questa prima parte del discorso renziano. «Il congresso è l’alternativa al modello “Casaleggio”. La scissione ha le sue ragioni che la ragione non conosce. La nostra responsabilità è verso il Paese e quelli che stanno fuori. Adesso basta: si discuta oggi ma ci si rimetta in cammino. Non possiamo continuare a stare fermi a discutere al nostro interno», citando così Pascal introduce Matteo Renzi. Il punto chiaro ribadito è quanto successo lo scorso 4 dicembre, con la sconfitta al Referendum Costituzionale; «C’è un prima e un dopo il 4 dicembre e mi spiace perché mi sento responsabile, c’è un prima e un dopo, c’e’ una frattura nella politica e nella società con la fuga dei capitali all’estero e in generale è stata una botta per tutto il sistema Paese e noi abbiamo la responsabilità di rimetterlo in moto». L’affondo contro la minoranza dem, presente in aula tranne Massimo D’Alema, arriva però subito dopo: per Renzi peggio della parola scissione c’è solo una parola, ovvero ricatto. «Scissione è una delle parole peggiori, peggio c’è solo la parola ricatto, non è accettabile che si blocchi un partito sulla base dei diktat della minoranza. Non possiamo stare fermi a dire congresso sì, congresso no. Resti agli atti quel che è accaduto in questi due mesi e mezzo. Ho cercato tutti i giorni di raccogliere le proposte degli altri per restare insieme. All’ultima assemblea due amici storici mi hanno preso a male parole per dirmi ‘fai un errore’. A quel punto una parte della maggioranza e minoranza ha detto fermiamoci e mi sono fatto carico di non fare il congresso perché pensavo potessimo fare una campagna di ascolto insieme». Niente mani tese, richiamo a tenere unito il Pd ma anche nessun passo indietro per ora, anche se ancora non citato esplicitamente, nella sua ricandidatura alla guida del Pd al prossimo Congresso.

In questi ultimi minuti prima dell’Assemblea Nazionale Pd, con oltre un’ora di ritardo sull’iniziale ora di ritrovo, i big del Partito Democratico sono quasi tutti arrivati all’Hotel Parco dei Principi di Roma: mentre ancora è atteso il discorso di Matteo Renzi che presumibilmente aprirà i lavori, con l’attesissimo giudizio su voto, Congresso e scissione, suonano come una sorpresa rispetto agli ultimi giorni le parole di Enrico Rossi, Governatore Toscana e membro del trio di minoranza dem che ieri ha condotto la “contro-Assemblea”. «Questa non sarà l’ultima domenica del Partito Democratico»: un richiamo sibillino a quelli che realmente vogliono la scissione, e dunque una mano tesa a Renzi e alla maggioranza? Ancora più importanti forse le parole di Michele Emiliano: «Andiamo a sentire che ci dice il segretario e vediamo qual è la strada migliore». Tra il presidente pugliese, Enrico Rossi e Roberto Speranza «c’è pieno accordo – ha aggiunto – Tra noi va tutto bene». I tre, spiega Emiliano, non presenteranno nessun documento: da ultimo Giani Cuperlo che pure in opposizione a Renzi non intende operare per la scissione e anzi richiama all’unità del Partito Democratico prima dell’Assemblea, «Mi auguro che fino all’ultimo istante utile si faccia ogni sforzo per non dividersi. A Bersani gli direi di fare di tutto per restare qui».

Mancano pochi minuti all’inizio del’Assemblea Nazionale del Pd a Roma, e l’aria da tensione e tempi grami per il Partito Democratico si fa sempre più intensa. Il primo partito del Paese arriva all’assemblea che dovrà decidere sostanzialmente su tre temi – data del Congresso, fiducia al Governo Gentiloni e eventuale conferenza programmatica interna prima delle Primarie di coalizione – con una profonda spaccatura interna, sottolineata dall’assemblea della minoranza dem di ieri pomeriggio, con Enrico Rossi e Roberto Speranza convinti allo strappo e Michele Emiliano più tentato dal giocarsi una possibilità carta interna al Pd per sfidare Renzi. Il tema è chiaro, e se così sarà scissione sarà praticamente inevitabile: ieri il terzetto di minoranza, con forte sostegno di Massimo D’Alema, ha detto chiaramente “se Renzi non si ricandida per la prossima segreteria del Pd arriva la scissione”. A nulla è valsa la mediazione di Francheshini e Orfini, pare ormai che la spaccatura ci sarà: Renzi proverà probabilmente un ultimo tentativo di conciliazione, tenendo fermo però un punto “non si accettano ultimatum”, come chiarito dal fidato Guerini ieri sera. Tra pochi minuti parte “il circo”: sarà l’ultima domenica del Partito Democratico unito?

Tutto in una giornata o l’ennesimo rinvio? Con l’Assemblea Nazionale PD che si tiene oggi a Roma all’Hotel Parco dei Principi la domanda è la medesima da qualche mese a questa parte in casa dem: un vera resa dei conti tra la maggiorana renziana (con i suoi interni scricchiolii) e la minoranza scissionista, oppure un rinvio al prossimo Congresso Pd che è il vero motivo di questo ritrovo a pochi giorni alla Direzione-bufera con lo scontro tra il segretario e le varie anime di un Partito Democratico sempre più “comatoso”? Renzi, seppur reticente in molti versi, un passo verso la minoranza, anzi, le minoranze, lo ha fatto: concede un sì alla “fase programmatica durante il Congresso”, come hanno proposto Orlando, e poi Martina, Fassino, Zingaretti; sembra voler svelenire la polemica; non chiude all’ipotesi che a palazzo Chigi vada un altro e non lui; concede larghissima fiducia a Gentiloni. Non solo, chiama anche Michele Emiliano che con Speranza e Rossi medita il “colpo” della scissione se si arriva ad un Congresso anticipato e “posticcio”, per cercare di ricucire; troppo tardi? Lo sapremo nell’Assemblea di oggi molto probabilmente, con l’inevitabile interesse anche di Mattarella e Gentiloni, «un’eventuale scissione non potrebbe infatti non avere riflessi sul governo (così che da parte di Bersani si compirebbe un clamoroso paradosso: per prolungare la vita del governo lo si metterebbe seriamente in fibrillazione) e sulla vita dei gruppi parlamentari», nota il collega Lavia sull’Unità. «Salvare il Pd è ancora possibile. Faccio un appello ai dirigenti: bloccate le macchine della divisione. Non andatevene, venite. Partecipate. Le porte sono aperte, nessuno caccia nessuno. Ma un partito democratico non può andare avanti a colpi di ricatti. Apriamo le sedi dei circoli e discutiamo. E, finalmente, torniamo a parlare di Italia», è l’appello che il segretario del Pd Matteo Renzi lancia in una intervista al Corriere della Sera. Certo, non è mancato l’affondo dell’ex premier contro i vari Bersani e Speranza, con queste parole sibilline vissute come un ultimatum dalla minoranza: «Io voglio evitare qualsiasi scissione. Se la minoranza mi dice: o congresso o scissione io dico congresso – spiega l’ex premier -. Ma se dopo che ho detto congresso loro dicono ‘comunque scissione’ il dubbio è che si voglia comunque rompere, che tutto sia un pretesto. Toglieremo tutti i pretesti, tutti gli alibi. Vogliono una fase programmatica durante il congresso? Bene, ci stiamo. Martina, Fassino, Zingaretti hanno lanciato proposte concrete. Vanno bene. Però facciamo scegliere la nostra gente: davvero qualcuno ha paura della democrazia?».

Inutile girarci intorno: quest’Assemblea Nazionale del Pd è l’ultimo passo tra il Congresso e l’eventuale scissione dei gruppi di minoranza che fanno capo a D’Alema, Bersani ed Emiliano, al netto dei vari richiami nei giorni scorsi di Fassino e Veltroni. Il pensiero della minoranza, come verrà ribadito oggi, è molto semplice e lo ha espresso forse più chiaramente di tutti Roberto Speranza giorni fa ad Otto e Mezzo: «Veltroni e Bersani dopo le dimissioni non si sono più ricandidati. E quello era un gesto di estrema generosità verso il partito. Queste dimissioni (quelle che Renzi darebbe per aprire la fase congressuale-ndr) mi sembrano piuttosto un atto di egocentrismo, di egoismo. Non dirò mai a Renzi di candidarsi o meno, ma gli dico di fare attenzione, perché se il Pd è di Renzi, allora non ci sarà spazio per noi». Se questa rimanesse la posizione anche oggi, sarà ossa difficile che entro sera non si arrivi ad una spaccatura totale; “o Renzi via o scissione”, ammette in effetti poche discussioni e dibattiti interni, ma il lavoro della diplomazia di questi ultimi giorni potrebbe aver concluso qualcosa in termini di risultati. Finora resta assai chiara la posizione però espressa da Pier Luigi Bersani, nella ormai famosa lettera all’Huffington Post di qualche giorno fa: «non stravolgiamo il Pd per le velleità di una persona sola. A Renzi e i suoi dico: Fermatevi!». Vincerà la diplomazia (e la volontà di non andare al voto in breve tempo con i sondaggi che penalizzano i dem) o la scissione? All’Assemblea Nazionale l’ardua sentenza… (Niccolò Magnani)