Michele Emiliano sarà lo sfidante numero 1 alle primarie del Congresso per diventare il nuovo segretario Pd: con la Direzione Nazionale chiusa poco fa, il Governatore della Puglia sfiderà Renzi e lo ha annunciato con un lungo intervento tutt’altro che conciliante con la maggioranza renziana. «Mi candiderò alla segreteria del Pd perché questa è casa mia, e casa nostra e nessuno può cacciarci via. Con Rossi e Speranza abbiamo condotto una riflessione comune, Enrico e Roberto sono persone perbene, di grande spessore umano che sono state offese e bastonate dal cocciuto rifiuto ad ogni mediazione. Renzi è il più soddisfatto per ogni possibile scissione». Emiliano ha denunciato il tentativo di Renzi di vincere il congresso ad ogni costo per poter andare subito ad elezioni anticipate: accusa forte che ha suscitato molte polemiche tra le file dei delegati dem. «Renzi ha fretta e non concede il tempo necessario a girare nemmeno la metà delle province. Perché i suoi errori, ove discussi, porterebbero a un suo indebolimento. Ma nonostante il poco tempo ci proveremo lo stesso perché per noi il congresso non sarà mai una prova muscolare». Insomma, la campagna congressuale è tutt’altro che di là da venire, è assolutamente già cominciata con l’attesa replica nei prossimi giorni dell’esule volontario in Usa, nonché ex premier.



Una Direzione Nazionale del Pd senza Renzi, Bersani, Speranza e ‘D’Alema e con fuori gli attacchi e l’assedio dei tassisti: di sicuro si sono visti giorni migliori a Largo del Nazareno. Con il segretario reggente Matteo Orfini, subito sono state presentate le commissioni per il Congresso (ma sono variabili, come ha garantito lo stesso Orfini per non sfilacciare troppo il Partito Democratico) e la proposta di una data. «Vi chiedo di considerare questa direzione convocata in sede permanente. Ci siamo dati un orientamento di massima: celebrare il congresso prima delle elezioni amministrative”, ha aggiunto Orfini. Con presente Emiliano, che quindi rimane ufficialmente nel Pd, ha parlato Gianni Cuperlo che con qualche stilettata nella sua prolusione a Matteo Renzi, ha provato l’ultima carta. «Mi permetto di avanzare questa proposta: in questa vicenda nessuno si senta sconfitto, potremmo esserlo un poco tutti. Proviamo a stupire noi stessi: avviamo il congresso, con le procedure, le regole, il confronto politico programmatico, poi affrontiamo insieme le amministrative e chiudiamo il percorso con le primarie entro la prima parte del mese di luglio. Luglio non è un’offesa verso nessuno né una violenza sulle regole, potrebbe essere lo spiraglio per salvare questo simbolo e questa comunità». E’ questa la proposta avanzata da Gianni Cuperlo, intervenendo nella direzione del Pd. Da ultimo, arriva il tanto atteso annuncio del Governatore Puglia, Michele Emiliano: «mi candidato alla segreteria del Pd, questa è casa mia».



Michele Emiliano ha cambiato idea e, dunque, rimane nel PD e anzi dovrebbe partecipare alla Direzione Nazionale, che potete seguire in diretta. Il governatore pugliese avrebbe spiegato ad alcuni parlamentari di non voler fare alcun favore a Matteo Renzi. L’indiscrezione è stata riportata da Il Giornale, secondo cui una parte della minoranza democratica è irritata per l’atteggiamento di Michele Emiliano, ma un bersagliano ha sottolineato che avevano già messo in conto la possibilità che si smarcasse dalla linea scissionista. Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, ha difeso Michele Emiliano dall’accusa di incoerenza: «Sta provando fino all’ultimo istante a salvare il Pd. Con non poca sofferenza sta cercando da giorni di mediare con una persona che non ha mai voluto mediare e che, invece di partecipare all’ultima direzione dice di partire per gli USA, perdendo un’altra occasione di confronto nel partito» ha dichiarato a L’Aria che tira, su La7.



La svolta alla fine c’è stata: Michele Emiliano non solo parteciperà alla Direzione Nazionale ma rimarrà nel Pd per poter sfidare direttamente Matteo Renzi al prossimo Congresso che oggi verrà incardinato con le regole di statuto e con la formazione della commissione di garanzia utile alla formazione del Congresso. Il Governatore della Puglia ha deciso: resta nel Pd e a quanto emerso si candiderà come inizialmente aveva annunciato alla Segreteria dem. Di contro, Bersani fa lo strappo definitivo: non ci sarà insieme alla sua compagine e in questo modo annuncia così la scissione minacciata da giorni. Renzi non ci sarà alla Direzione, che prevederà sicuramente qualche minuto di ritardo rispetto alle ore 15 di inizio formale, vista la fortissima protesta dei tassisti davanti alla sede del Pd che ha visto in questi minuti scontri e cariche della polizia.

La Direzione Nazionale PD, per la prima volta da tre anni a questa parte, non vedrà presente il segretario, ora dimissionario, Matteo Renzi: con una nuova e-news uscita questa mattina, l’ex premier annuncia che non prenderà parte per qualche settimana alle discussioni politiche, isto he «sono in partenza per qualche giorno per gli Stati Uniti. Vi racconterò sul blog.matteorenzi.it il mio diario di bordo dalla California dove incontreremo alcune realtà molto interessanti. Priorità: imparare da chi è più bravo come creare occupazione, lavoro, crescita nel mondo che cambia, nel mondo del digitale, nel mondo dell’innovazione». Diserta e in questo modo conferma la scissione, senza ormai quasi dubbio sulla frattura interna al Partito Democratico: l’unico ancora in bilico forse è Emiliano, a cui però Renzi non sembra porre particolari mani in sua direzione. «Se qualcuno vuole lasciare la nostra comunità questa scelta ci addolora, ma la nostra parola d’ordine rimane quella: venite, non andatevene. Tuttavia è bene essere chiari: non possiamo bloccare ancora la discussione del partito e soprattutto del Paese. È tempo di rimettersi in cammino», si legge nella e-news di Renzi. Ecco tutti i sassolini che si toglie l’ex premier fiorentino, con la minoranza nel pieno obiettivo: «Personalmente ho giurato a me stesso che non sarò mai il leader di qualche caminetto messo lì da un accordo tra correnti: si vince prendendo i voti, non mettendo i veti. Per settimane intere gli amici della minoranza mi hanno chiesto di anticipare il congresso, con petizioni online e raccolte firme, arrivando persino al punto di minacciare “le carte bollate”. Quando finalmente abbiamo accolto questa proposta, ci è stata fatta una richiesta inaccettabile: si sarebbe evitata la scissione se solo io avessi rinunciato a candidarmi. Penso che la minoranza abbia il diritto di sconfiggermi, non di eliminarmi. E se è vero che la parola scissione è una delle più brutte del vocabolario politico, ancora più brutta è la parola ricatto». E così si sente il “de profundis” del Pd….

Sbotta anche Piero Fassino, poche ore prima della Direzione Pd, sulla situazione attuale del suo partito, ostaggio e preda dello scontro ormai alle fasi finali tra Renzi e la minoranza. Esattamente come aveva fatto in Assemblea Nazionale domenica scorsa, l’ex sindaco di Torino punta dritto il dito contro gli scissionisti, considerati incomprensibili e quasi scellerati: «Le ragioni per cui andiamo verso una scissione non sono plausibili, non sono comprensibili». Come Prodi, anche Fassino sta provando a ricucire per provare ad arrivare in Direzione senza la scissione totale con la parte dalemiana e bersaniana, anche se sarà assai difficile come impresa. E allora si iniziano i commenti in negativo anche per la mancata “stretta di mano” che Renzi starebbe negando a chi più di tutti vorrebbe una cucitura piuttosto che uno strappo, ovvero Michele Emiliano. Sotto questa luca andrebbero lette le dichiarazioni di Gianni Cuperlo che pur da dentro il Pd attacca il segretario dimissionario. «Renzi sembra non capire l’effetto che avrebbe una scissione. Se fosse così, se non ha capito, avrei davvero la conferma della sua inadeguatezza, pensa di aver vinto invece ha perduto perchè le minoranze avranno fatto i loro errori ma se il Pd si rompe la responsabilità più grande è di chi stava alla guida», afferma in una intervista a Repubblica.

Un suicidio questa scissione, una follia… a dirlo è Romano Prodi che oggi assisterà alla Direzione Nazionale del Pd forse meno rappresentata della sua storia, senza il suo ex segretario (probabile, anche se non confermato da fonti ufficiali) e senza tutta l’area scissionista che in queste ore sta cercando di fare “la conta” di quanti sono dentro e quanti ormai fuori dal Partito Democratico. In un colloquio con Repubblica Romano Prodi svela i suoi timori, «Faccio decine di telefonate, certo non sono indifferente alla scissione. Colloqui privati, tali rimangono. Sono angosciato per la rottura del Pd, nella patologia umana c’è anche il suicidio, ma ancora non mi rassegno», ha concluso uno dei fondatori dem e maggiori esponenti del partito che oggi probabilmente sancirà la sua scissione definitiva.

Oggi pomeriggio alle 15 circa è stata convocata la Direzione Nazionale del Pd nella settimana più lunga della storia di questo “giovane” Partito Democratico. Riavvolgiamo il nastro e torniamo a domenica sera: il presidente del Pd Matteo Orfini, chiudendo i lavori e sciogliendo l’Assemblea, aveva pronunciato, «Appena lasceremo la sala convocherò la direzione per martedì, con all’ordine del giorno la nomina della commissione congresso che dovrà elaborare, recepire le regole. L’assemblea è sciolta e il Congresso è formalmente indetto». Così avviene, con la Direzione Pd convocata per oggi pomeriggio con però notevoli differenze rispetto solamente ad una settimana fa: non ci saranno i Bersaniani, come ha affermato Nico Stumpo, non ci sarà il trio dello strappo verso la scissione ormai consumata, Enrico Rossi, Michele Emiliano e Roberto Speranza e forse, questo più clamoroso, potrebbe essere lo stesso Matteo Renzi a disertare la Direzione in Largo del Nazareno. In fondo, ufficialmente non è più il segretario del Pd e nulla lo lega al presentarsi e a proporre una relazione iniziale, che probabilmente toccherà al presidente Matteo Orfini. Allora cosa avverrà in Direzione? Si provano le ultime speranze per una ricucitura, con le diplomazie all’opera, ma non è semplice; sentite Speranza, «Per me non ci sono le condizioni per stare nel congresso, e non credo andrò alla prossima direzione del Pd dopo quello che è accaduto ieri. Ci aspettavamo – ha aggiunto – che nelle repliche di Renzi ci fosse un messaggio di riapertura della discussione. Non è avvenuto. Lui ha fatti una scelta molto chiara, che va nella direzione di rompere il Pd». Sarà scissione?

Alla domanda di cui sopra probabilmente potrebbe esserci finalmente una risposta alla Direzione Nazionale del Pd di questo pomeriggio: dopo una Direzione, un’Assemblea, una dimissione del segretario e un’indizione del Congresso, ora finalmente con l’ultimo passaggio di oggi dovrebbe avvenire la tanto nominata “resa dei conti” interna al Partito Democratico. Già, ma chi sarà davvero che oserà lo strappo? Mentre internamente alla maggioranza, un gruppo di ex socialisti agita le scene provando a costituire una nuova corrente interna che possa portare Andrea Orlando alla candidatura contro Renzi nel prossimo Congresso di giugno (Damiano e Cuperlo le “spalle”), all’esterno cosa succede? Il Governatore della Toscana Rossi ha enunciato ieri alla Rai la possibile nuova formazione degli scissionisti: «formazione composta dagli scissionisti del Pd e da quelli di Sinistra italiana, ossia Arturo Scotto e i suoi». Repubblica ha anche provato ad elencarli, almeno i più importanti che oggi infatti non saranno presenti alla Direzione dem: Tra gli altri, oltre a Bersani e a Roberto Speranza, Nico Stumpo, Davide Zoggia, Miguel Gotor, Maurizio Migliavacca, la deputata milanese Eleonora Cimbro, e i senatori Paolo Corsini e Federico Fornaro. Ma l’ufficialità di un eventuale ‘divorzio’ al Nazareno avverrà a questo punto solo dopo la Direzione nazionale; secondo il deputato Francesco Boccia “sarà l’ultima occasione per Renzi di salvare il Pd e non buttare via tutto”. Renzi proverà a fare un ultimo gesto di unione? Difficile, anche se non impossibile, sempre che appunto si presenti alla Direzione: non dovesse farlo sarebbe come confermare la mancanza di volontà nel recuperare lo strappo vissuto dall’ex premier come un “ricatto bello e buono”. (Niccolò Magnani)