Tacciono in tanti in questi giorni in cui si levano strilli dalle parti del Pd. Tace il premier Paolo Gentiloni con il suo governo, restano mute le donne democratiche che non hanno fatto sentire la loro voce nel bailamme della scissione. Gongola in silenzio Beppe Grillo che si gode la sua beata rendita di posizione: nel bel mezzo della crisi della giunta Raggi, il polverone alzato al Nazareno ha nascosto le magagne romane a cinque stelle. Si è fatto sentire Matteo Renzi, che dopo le fatiche dell’assemblea nazionale ha preso un volo per San Francisco, dall’altra parte dell’America, dove studia — almeno dice lui — la conversione al fotovoltaico assieme all’amico Marco Carrai. Dalla costa del Pacifico l’ex premier racconta sfide e opportunità della Silicon Valley. Intanto il partito rimane a bagnomaria in attesa di candidature alle primarie, scissioni, congressi, nuovi gruppi.
Ma c’è un altro grande taciturno, vive ad Arcore e da tempo non si fa sentire. Silvio Berlusconi non apre bocca sulla crisi del Pd, non calca la mano, non getta sale sulle ferite democratiche, non fa nulla per approfondire le lacerazioni al Nazareno. E parallelamente non se la prende nemmeno con Matteo Salvini, non critica gli estremismi leghisti e non scava solchi con il populismo di destra.
Le scuole di pensiero sono molteplici: c’è chi pensa che il Cavaliere faccia melina in attesa di venire ripulito quest’autunno dalla Corte di Strasburgo; altri ritengono che abbia in serbo un piano segreto; altri ancora che non sia né un sommo stratega né un abile tattico, ma semplicemente uno che non ha nulla da dire perché non sa nemmeno lui che cosa vuole.
Le schematizzazioni non sono sempre fotografie fedeli della realtà. Berlusconi in questo momento tace perché gli conviene applicare il vecchio adagio maoista che suggerisce di sedersi lungo la riva del fiume e aspettare di vedere transitare il cadavere del nemico trasportato dalle onde. Il Pd si fa del male da solo senza che altri debbano venire a sostegno. I sondaggi parlano chiaro, la scissione danneggia tutta la sinistra, non appena il Partito democratico.
Il silenzio aiuta poi il lavoro delle diplomazie che agiscono dietro le quinte. I segnali che giungono dalla Lega di Salvini dicono di una tregua in atto nel centrodestra: il leader del Carroccio ha abbassato i toni del confronto con Forza Italia, gli accordi in vista di liste comuni alle elezioni amministrative sono a un passo e i toni non sono più bellicosi: “Nessuna alleanza con Berlusconi se vendono Donnarumma”, tuona il milanista Salvini. Siamo ai tavoli del bar Sport.
Ma il silenzio berlusconiano è d’oro anche perché comunque la strategia va messa a punto con cura. È vero che i sondaggi penalizzano il Pd, ma ciò non significa che ne guadagni il centrodestra. Il crollo democratico in questo momento consegnerebbe il Paese in mano ai 5 Stelle, non alla riedizione del Pdl. Berlusconi invece vuole sfruttare le debolezze del centrosinistra per ricollocarsi al centro dei giochi e non può permettersi una controparte troppo indebolita. Quindi l’ordine è di non calcare la mano con il Pd, e contemporaneamente di non chiudere con Salvini nonostante la scelta di campo a Bruxelles sia chiaramente anti-populista (con Tajani eletto alla guida dell’europarlamento senza i voti leghisti), né tirare troppo la corda con i vari Toti e Brunetta, i pasdaran azzurri. E la consegna di non infierire riguarda anche il governo Gentiloni, che pure non è mai stato un grande amico di Mediaset ma in questa fase serve a traghettare la legislatura verso la scadenza naturale. Come dice il saggio, un bel tacer non fu mai scritto. E il Cavaliere si guarda bene dal contraddire la saggezza popolare.