Lui pensa al futuro. Nel giorno del severissimo giudizio dell’Ue sugli squilibri italiani, Renzi si dedica “ad alcuni incontri di qualità” (così sul suo blog) in California, da dove irride le divisioni del suo partito: “anziché litigare sul niente, proviamo a imparare da chi sta costruendo il domani prima degli altri”. Chissà se tra auto elettriche e ipotesi di vita su Marte, sempre in compagnia del fido Carrai, l’ex segretario del Pd penserà anche alle vicende italiane; dovrebbe farlo ma seriamente, secondo Antonio Polito, che sul Corriere della Sera ha dedicato il suo ultimo editoriale alla crisi del Pd.
Quel partito “era un’utopia”, ha scritto Polito. “La sua nascita era il frutto, molto tardivo, di una stagione dell’ottimismo che si era aperta negli anno 90, l’età in cui sembrava che un nuovo capitalismo fosse sorto grazie alla rivoluzione tecnologica. L’età in cui la California era il nuovo Sol dell’Avvenire”. Adesso però l’Italia è nei guai e molto più di allora.
Renzi è in California. Laggiù c’è un ceto progressista in politica e fortemente di destra in economia. E’ la conclusione del cerchio?
Io non so cosa sia andato a fare Renzi in California. Lui ha detto di essere andato a studiare l’innovazione, nella quale la California è un’eccellenza mondiale. Il problema è che per governare un paese non ci vogliono gli scienziati, ma i politici. Non credo che Renzi ne trarrà molte indicazioni utili sul perché le riforme del suo governo non hanno avuto il successo e il consenso che lui sperava.
Nel frattempo Gentiloni è alle prese con una correzione dei conti da 3,4 miliardi per evitare la procedura di infrazione L’antipasto di quella che ci attende in autunno.
Una manovra che si porta appresso i mancati risparmi fatti in questi tre anni anche, va detto, grazie ai bonus di Renzi. Non solo: Gentiloni dovrà intervenire in maniera decisa sia su sul sistema delle banche, sia con altre misure di contenimento del debito che si renderanno necessarie, vedi alla voce liberalizzazioni e privatizzazioni di aziende italiane.
Intanto l’inflazione ha ripreso ad aumentare. E’ una buona notizia.
E’ una notizia a due facce: una buona, perché indica che ci sono segnali di ripresa, l’altra cattiva, perché più l’inflazione media della zona euro si avvicina alla soglia del 2%, più Draghi sarà costretto a metter fine al Quantitative easing che finora ha consentito alla Bce di acquistare il nostro debito pubblico garantendoci tassi molto bassi.
Il governo c’è, ma il partito di maggioranza relativa si sta sfarinando. Lei ha scritto che proprio oggi “ci vorrebbe un Prodi”. Perché?
Perché avremmo bisogno un federatore capace di unire il mare di sigle e gruppi che stanno sorgendo a sinistra. Con l’aggravante che il proporzionale favorisce più la competizione con il vicino che con l’avversario politico.
Con quali conseguenze?
Il possibile slittamento di tutta la battaglia politica italiana verso posizioni irresponsabili o demagogiche o fughe in avanti alimentate, per esempio, dalla speranza che un aumento di spesa pubblica possa farci uscire dai problemi che abbiamo. Tutti elementi che i mercati hanno percepito benissimo.
La scissione del Pd come potrebbe cambiare la partita della legge elettorale?
E’ molto probabile che Renzi non voglia il premio di coalizione perché lo costringerebbe a riallearsi con quelli che hanno appena lasciato il Partito democratico.
Quale potrebbero essere le scelte del segretario del Pd?
Potrebbe volere una soglia di sbarramento più elevata alla Camera, attualmente al 3 per cento, da armonizzare con quella del Senato (8 per cento, ndr). In questo modo i fuoriusciti non raggiungerebbero il quorum
A suo modo, una vendetta politica.
Anche quell’omogeneità tra le leggi di Camera e Senato auspicata dal presidente Mattarella.
E Berlusconi?
Si augura una situazione in cui mantenendo in vita la propria forza in parlamento, possa poi spenderla in un accordo neocentrista con i moderati del centrosinistra e cioè col Pd.
Nemmeno nel fu centrodestra i giochi sono semplici.
Berlusconi punta a presentare alle urne un centrodestra unito in modo da attrarre voti. Tuttavia dopo il voto è molto probabile che la spaccatura tra filoeuropei e antieuropei sarà tale da indurlo a decidere di portare i suoi voti da un’altra parte.
Cosa ci riserverà il congresso del Pd?
Un plebiscito per Renzi, che è l’obiettivo con cui è stato convocato e la ragione vera dello scontro con la minoranza e poi della rottura. Dopo la sconfitta al referendum, Renzi ha bisogno di una nuova investitura popolare. Per riconquistare l’agibilità politica, le primarie interne del Pd sono un terreno assai più favorevole delle elezioni politiche.
Dopo quello che è accaduto, dalle sconfitte elettorali ai risultati del suo governo, nemmeno gli iscritti potrebbero andargli dietro a cuor leggero.
Quella contro Orlando ed Emiliano è una gara interna che Renzi dovrebbe vincere facilmente. Emiliano però è un osso duro: ex pm, poi sindaco-sceriffo, dice sempre ciò che la gente vuole sentirsi dire: è uno di sinistra che ha fatto politiche di destra. E’ imprevedibile e può essere un candidato ostico per Renzi. Il problema serio sarà l’affluenza, perché Renzi non suscita neanche lontanamente nell’elettorato del Pd l’entusiasmo del 2013 (quando sconfisse Bersani, ndr).
Da Bersani a Rossi, da Fassino a Cuperlo tutti indicano il nemico nella nuova destra, nel trumpismo e nel sovranismo. Ma il Pd e ciò che sorgerà alla sua sinistra hanno nella propria cassetta degli attrezzi ciò che serve per fare ipotesi innovative e alternative?
No. Nella cassetta degli attrezzi del Pd c’è poco o nulla, come c’è poco in quella di tutta la sinistra europea. Ed è la prima volta che questo accade nella storia della sinistra. Non a caso si è aperta ovunque, non solo in Italia, una frattura profonda tra la sinistra che aveva aveva creduto nella globalizzazione e l’altra sinistra, quella che oggi segue più da vicino il populismo.
Renzi dove lo mettiamo?
Renzi mi sembra ancora illudersi che il blairismo, oggi nella veste rinnovata del macronismo, possa dettare la via d’uscita dalla crisi. Un errore, perché le condizioni generali rendono irrealistico replicare l’età dell’ottimismo a marca Clinton e Blair.
E’ l’ora delle forze antisistema?
E’ il rischio più grosso che corre l’Italia, perché nel sistema proporzionale i voti si sommano. Poi le forze anti-Europa, antiestablishment e antieuro possono benissimo risultare incapaci di dar vita a un governo, ma possono ugualmente impedire a tutti gli altri di farne uno.
(Federico Ferraù)