Con tutti i limiti che l’Europa sta avendo, resta ancora un importante fattore di stabilità, non solo perché il mercato unico consente ai nostri prodotti di avere uno zoccolo duro, in termini di circolazione, quanto soprattutto per la riduzione dei costi sul debito che l’euro ha determinato sinora e persino nei recenti anni della crisi economica.



Non tutto è stato perfetto, perché l’Europa non controlla la politica economica e non dispone di una fiscalità propria. Operazioni come l’American Recovery and Reinvestment Act (Arra), messo in campo dall’amministrazione Obama, in Europa non erano proprio possibili e il piano Juncker non ne ricalca, neppure da lontano, le caratteristiche e i contenuti. Eppure, le misure di Quantitative easing (Qe) della Bce sono stati utili per assicurare una sufficiente base monetaria e mantenere bassi gli interessi sul debito. 



Gli Stati membri, Italia compresa, inoltre, in questi ultimi anni sono stati aiutati dal calo dell’euro sul dollaro e dal costo contenuto del barile.

Certamente la vicenda della Grecia è stata condotta male dalle istituzioni europee; molto strana è stata anche la gestione della crisi politica in Ucraina; e, per finire, alquanto fallimentare è stata la reazione europea alla crisi umanitaria con una pessima gestione dei ricollocamenti.

D’altra parte, gli Stati membri e tra questi, per prima, l’Italia non possono vantare — almeno sinora — di avere adeguato i loro strumenti all’altezza della sfida europea e mondiale. Prendiamo i tre grandi paesi fondatori: Germania, Francia e Italia. 



La prima sembra in una splendida situazione economica, con il suo surplus; in realtà nasconde da tempo un peggioramento dei consumi interni e un mercato del lavoro molto meno garantista del passato, dove le forme di sottoccupazione e di impoverimento dei lavoratori sono ormai chiaramente visibili. La Francia è costantemente fuori dai parametri del patto di stabilità; in particolare, il suo deficit negli ultimi anni si aggira stabilmente sul 5% del Pil e non sembra fare nulla perché questa condizione si modifichi, almeno finché dura la crisi. 

Anche l’Italia ha commesso i suoi errori e la sua politica economica è stata alquanto imprudente: per via dei bonus distribuiti a pioggia che sono stati tesaurizzati nel risparmio, anziché spesi per incrementare i consumi e per la mancanza di un piano di investimenti pubblici antirecessivo, nonostante l’ottenimento dalla Commissione di una certa flessibilità sul deficit. 

Ha dalla sua che nella crisi umanitaria è stata praticamente lasciata sola a sobbarcarsi i problemi dei migranti, con critiche spesso ingenerose da parte degli altri Stati membri. Ma, nel complesso, il Paese è in una situazione di disagio e di fragilità e la sua forza economica non è comparabile con quella di Francia e Germania. Da un lato, maltempo, terremoto e un certo caos istituzionale post-referendum; dall’altro, l’economia che non cresce, il debito che continua ad aumentare costantemente e la disoccupazione giovanile di nuovo alle stelle. Il nostro è considerato il Paese più indietro e più difficile da accettare.

Europa e Italia, per ragioni diverse, sono in mezzo al guado, ma è quest’ultima ad avere bisogno della prima ed è per questo che l’Italia dovrebbe valutare meglio il suo comportamento in Europa e stare attenta al benché minimo movimento, come le dichiarazioni della cancelliera Merkel su un’Europa a geometria variabile. 

Invece, Salvini e Grillo e, in una qualche misura, anche Renzi stanno cercando di mettere in discussione il ruolo europeo senza addurre buoni argomenti. Infatti, non si pongono il problema di contribuire a migliorare l’Unione europea, bensì cercano la via per disattendere i vincoli europei (Renzi); oppure, ne dichiarano il fallimento, come se per noi fosse un bene (Grillo); o ancora, auspicano l’uscita dall’euro, moneta considerata “sbagliata” (Salvini), pensando che siamo ancora al tempo delle svalutazioni competitive. Una politica antieuropea per l’Italia sarebbe fatale con danni inimmaginabili.

Quello che i politici nostrani, però, ignorano è che l’Italia non è più tanto amata a livello europeo, per cui sono in tanti a lavorare per una nostra uscita dall’euro e dall’Unione e loro li stanno aiutando. 

L’Italia non gode più di quel prestigio che un tempo aveva. Esattamente 25 anni fa furono i politici italiani, tra cui in primo luogo Andreotti, a convincere il cancelliere Kohl a sottoscrivere il trattato di Maastricht.

Gli italiani furono credibili persino al momento della moneta unica quando, dopo la crisi del 1992, poco per volta e con tenacia assunsero l’impegno di rientrare nel sistema monetario europeo e di agganciare la moneta unica nel 1999, con un risparmio enorme degli interessi sul debito.

Certamente sono stati commessi anche degli errori, ma nonostante i nostri difetti il Paese appariva interessante, vitale e necessario al futuro dell’Europa. Oggi non più.

Oggi parecchi auspicano una nostra fuoriuscita anche per il loro egoismo.

L’Europa a geometria variabile era già nella bocca di De Gaulle, quando ancora il generale governava la Francia e la Comunità europea era limitata ai sei Paesi fondatori. I francesi avevano la responsabilità di avere fatto fallire la Comunità europea della difesa e, con essa, la Comunità politica europea e De Gaulle pensava ancora come porvi rimedio. Di qui le geometrie variabili.

Ancora oggi questa filosofia europea delle geometrie variabili è evocata per riprendere il processo di integrazione politica.

Spetterebbe al governo italiano inserirsi nell’agenda europea, ormai ben nota dal 2012 e cioè da quando la Commissione ha elaborato il celebre Blueprint contro la crisi, la cui conclusione dovrebbe essere nel 2025, con una vera unione politica.

Non è un caso che la Merkel abbia tirato fuori l’argomento adesso chiedendo che venga inserito nel documento da approvare il prossimo 25 marzo, a conclusione della cerimonia dei 60 anni dei trattati di Roma.

A ottobre, quando un nuovo presidente siederà in Francia e non sarà Marine Le Pen perché le forze repubblicane scongiureranno la sua elezione, e la Merkel regnerà ancora in Germania, con una coalizione, più o meno grande, che arginerà la spinta antieuropea di Alternative für Deutschland, il progetto dell’Europa a geometrie variabili potrà cominciare. 

E l’Italia?

Beh, l’Italia corre il rischio di avere effettivamente un governo populista e antieuropeo che nessuno vuole avere come compagno di strada.