Renzi intende proteggere Lotti a tutti i costi. Emiliano invita Gentiloni a scaricarlo, secondo Orlando invece le sue dimissioni non sono necessarie. Il caso Consip e in particolare il ramo dell’inchiesta che riguarda la fuga di notizie e che vede indagato il ministro dello Sport divide il Pd. Il governo, a suo modo, ha già risposto all’ex premier: per Padoan lo statuto di Consip non prevede la decadenza dell’ad Luigi Marroni. Significa che il teste chiave dell’inchiesta può rimanere al suo posto. Intanto, oggi si apre a Torino la tre giorni renziana del Lingotto. Peppino Caldarola, commentatore politico, già direttore dell’Unità, prima della rottura del Pd ha sostenuto la candidatura di Enrico Rossi. Oggi riflette sui dem da posizioni “scissioniste”, ma sempre molto lucide.
Partiamo da Lotti. Che cosa c’è in gioco?
La sopravvivenza del governo Gentiloni. Renzi non può rinunciare a nessuno dei personaggi chiave della sua avventura politica. Dunque deve difendere Lotti e Gentiloni sceglie opportunamente di non smentirlo. Lotti ce la farà.
Il tema di fondo è come mai restino a galla insieme. E dire che a Porta a porta Renzi ha negato l’esistenza di ogni “sistema toscano di potere”.
Il sodalizio nasce dal fatto che Renzi ha concepito l’arrivo a Palazzo Chigi come una presa del potere. Non è uomo di coalizione e ha sempre avuto l’idea che palazzo Chigi fosse una stanza dei bottoni da occupare in modo militare, promuovendo tutte le persone con le quali ha un rapporto diretto di fiducia. Così come in Consip, il maggiore spenditore pubblico, ha messo a suo tempo un personaggio della sua Regione.
Oggi si apre la tre-giorni renziana del Lingotto. Fanno 10 anni da quando Walter Veltroni, nello stesso luogo, annunciò la sua candidatura alle primarie del Pd.
Il Lingotto di Veltroni sanciva una leadership scelta per volontà di tutti i soci fondatori del partito. Veltroni arrivò al Lingotto dopo avere sgominato tutti i concorrenti senza combattere: gli chiesero pressoché in ginocchio di diventare segretario del Pd. C’era un programma: la cultura post-comunista venne interpretata in chiave liberale di sinistra. Con il Lingotto di Renzi accade l’opposto.
In che senso?
Nasce con una parte dei soci fondatori che non riconoscono a Renzi la capacità di unire che venne riconosciuta a Veltroni. In secondo luogo, mentre Veltroni offriva una suggestione, una prospettiva, molto probabilmente ora assisteremo alla celebrazione dell’empirismo di Renzi: un affluire confuso di proposte à la carte, uno show con ricchi premi e cotillon.
Ad esempio?
Un assaggio l’abbiamo già avuto: il suo suggeritore economico Nannicini ha sostenuto che bisogna incrementare la tassazione con l’aumentare dell’età. Invece di agire sull’uno per cento troppo ricco, tassa il popolo. Il Pd di Veltroni non avrebbe mai sposato una tesi di questo tipo.
Però la vocazione maggioritaria che piaceva tanto a Veltroni unisce entrambi.
Sì. Con il suo discorso all’ultima direzione, è lo stesso Veltroni che ha battezzato politicamente Renzi. Gli ha dato il viatico, Come a Veltroni lo ha dato Scalfari definendolo un padre della sinistra. Renzi può così rivendicare la continuità.
Lei ha scritto di una “mutazione genetica” del Pd ormai irreversibile. Tale mutazione non potrebbe accelerare in Renzi una scelta politica nuova?
L’esito obbligato della sua esperienza politica è un partito plebiscitario-personale. Ora si tratta di aspettare le primarie, per vedere quanto potranno sottrargli Emiliano e Orlando e se e in che misura Renzi subirà il vento del No che lo ha punito al referendum.
Qual è la sua previsione?
Io penso che Renzi sia ancora abbastanza forte. In ogni caso è meglio un Pd con una leadership netta piuttosto che a mezzadria o peggio ancora tripartito. Un Pd diviso tra Renzi al centro, Orlando a sinistra ed Emiliano spostato verso Grillo porterebbe nell’arco di poco tempo alla deflagrazione completa.
Meglio allora il partito di Renzi.
Sì, nell’interesse del Pd. Altra questione è se il PdR risponda alle istanze della società italiana. Questo non lo credo. Se il centrodestra trovasse un candidato unificante, non estremista, vincerebbe al primo colpo.
Gentiloni?
Nell’attuale condizione è l’uomo giusto al posto giusto. Se poi riuscirà a portare il vascello al largo, dipende al 50 per cento dalla sua determinazione. Il restante 50 per cento è affidato ai venti.
Franceschini tiene in piedi Renzi e Gentiloni ma non si espone. Perché?
Franceschini ha una grande intelligenza politica e ha capito due cose. La prima è che il sistema proporzionale favorisce gli uomini capaci di fare coalizione e lui lo è. La seconda è che il Pd non esiste più.
Non è poco, per l’azionista di maggioranza del governo.
Non esistendo più il Pd, ciò che continuerà a chiamarsi Pd avrà sempre bisogno del frontman, ma anche e soprattutto di chi lavora in disparte. Qualcuno che, consumatasi tutta l’acqua in cui ha galleggiato il pesce Renzi, lo piglia, lo butta e ne prende il posto.
(Federico Ferraù)