Il procuratore di Bologna Giuseppe Amato, insieme al pool dei pm Enrico Cieri, Antonello Gustapane, Antonella Scandellari e Massimiliano Serpi (aggiunto), ha chiesto l’archiviazione per il filone sui mandanti della strage del 2 agosto 1980.
Lo ha fatto dopo sei anni di indagini di Digos e Ros che hanno indotti i magistrati qualche giorno fa ad una contestazione formale a carico del milanese Gilberto Cavallini, recluso da tempo nel carcere di Terni. La Procura di Bologna lo ritiene il quarto uomo che, insieme a Fioravanti, Ciavardini e Mambro, avrebbe preso parte all’organizzazione dell’eccidio. Avrebbe fornito loro un alloggio sicuro a Villorba di Treviso, e le due autovetture (una Opel bianca e una Bmw grigia) per raggiungere Bologna da Treviso e rientrare dopo la strage nei covi e poi l’attrezzatura per dotarsi di una nuova patente.
In altri termini, nella mole sterminata di atti d’indagine, testimonianze e altre circostanze riversata da Digos e Ros sul tavolo degli inquirenti, non si sono rinvenuti elementi di prova sufficienti per mettere alla sbarra i mandanti della strage, cioè ideatori e finanziatori.
Questi fascicoli restano mestamente vuoti. Durissima è stata la reazione di chi li aveva riempiti da anni di nomi e cognomi e chiedeva alla Procura di formalizzare i reati. Si tratta dell’associazione dei familiari delle vittime diretta da molti decenni dall’avv. Paolo Bolognesi, eletto senatore nelle file del Pd alle ultime elezioni. In questi anni l’associazione ha agito come un vero e proprio gruppo di pressione. Ha emesso giudizi su ogni esito giudiziario e indicato piste e dossier da esaminare, imputazioni da contestare. Ne sono testimonianza gli attacchi nei confronti della commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi. Del suo presidente, il diessino Giovanni Pellegrino, sono state chieste pubblicamente le dimissioni per non avere avallato le ipotesi fantasiose dell’associazione (cfr., alla fine dell’articolo, il testo della diffida).
E nei confronti di Andrea Colombo, che nel volume Storia nera. Bologna la verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti (Cairo 2007) aveva sollevato dubbi sulle sentenze di condanna di Fioravanti e Mambro, è scattata un’eguale reazione demonizzante, di vero e proprio depistaggio:
“Con queste riflessioni certamente incomplete non si intende tanto difendere il processo e le due sentenze definitive sulla strage del 2 agosto 1980, quanto piuttosto mettere tutti coloro che vorranno cimentarsi in una analisi storica più approfondita al riparo da operazioni di revisionismo, dettate da interessi strumentali e/o comunque contrastanti con dati di fatto che appaiono tendenziosamente pretermessi. Sono operazioni preoccupanti perché vengono oggettivamente a rappresentare il seguito quasi fisiologico di tutta una serie di depistaggi, iniziati con quelli dei servizi segreti, accertati con sentenza passata in giudicato, e poi continuati con una persistenza ossessiva per tutto il corso del processo (caso Ciolini, caso Sinibaldi, collegamento Ustica/Bologna, etc.) ed ora anche dopo la sua conclusione”.
Bolognesi è anche intervenuto sulla stessa storiografia, pubblicando dei volumi di nessun valore dal punto di vista della ricerca che suonano come un inno alla continuazione della guerra fredda. L’elemento complottista-demoniaco sono sempre gli Stati Uniti, la Cia, le centrali dell’anticomunismo, eccetera.
Complotti, trame, colpi di mano e colpi di stato, attentati a base di bombe e ogni genere di esplosivi avrebbero contrassegnato la storia d’Italia dalla guerra di liberazione ad oggi. Teatro di questa offensiva contro l’ordine democratico e per delegittimare e impedire l’accesso al potere del Pci sarebbero la strage della questura di Milano nel 1973, l’omicidio di Piersanti Mattarella a Palermo nel 1980, la strage dell’Italicus, di piazza Fontana a Milano, di piazza della Loggia a Brescia.
In altre parole, dal 1969 al 1984 una mano nera avrebbe pianificato e fatto eseguire i diversi momenti e aspetti di una guerra non ortodossa. Inutile dire che l’epicentro sarebbe —ovviamente — nell’alleanza atlantica e nei suoi apparati militari di prevenzione e repressione. L’eccidio di Bologna sarebbe l’epilogo di un disegno eversivo col ricorso anche in questo caso alla manovalanza neo-fascista, di ufficiali e militari. Sarebbe stata scoperta, nelle tasche di Gelli, anche la destinazione dei 15 milioni di dollari agli esecutori della strage di Bologna. Protagonista principale sarebbe una cupola formata da Licio Gelli, Umberto Ortolani (la cosiddetta mente della P2) in combutta con esponenti dei servizi segreti “deviati”, massoneria, terrorismo neo-fascista e via dicendo.
Lungo le 37 pagine dell’archiviazione il pool di Amato dà conto dell’impossibilità di trovare indizi che “potessero supportare un’accusa in sede penale”. “Non stiamo discutendo di qualcosa che deve essere ancora scoperto — ha detto il procuratore Amato —. Noi abbiamo fatto un’indagine a tutto tondo, abbiamo esplorato il tema mandanti e abbiamo dovuto prendere atto sulla base delle indagini che non c’è un tema mandanti rispetto al quale si possa e si debba sviluppare un’indagine penale”.
Il risultato è un lavoro di demolizione della riverniciature dei peggiori capitoli della propaganda sovietica. Lo fa col solo metodo consentito ai magistrati, la ricerca di prove, la verifica di episodi, il controllo delle persone (oltre 400) e dei soldi. I pm non trovano nulla che sorregga questa squinternata ideologia retrò dei sopravvissuti alla sfacelo dello stalinismo, anzi dello stesso comunismo su scala planetaria.
In uno stato di diritto (di cui nel nostro paese esistono ancora le sembianze) il rispetto che è dovuto alle sentenze non significa che si debba rinunciare a continuare ricerche di carattere storico e a rendere di pubblico dominio eventuali esiti diversi da quelli sanciti dalle sentenze dei magistrati bolognesi.
Diverso, assai diverso, è il comportamento dell’associazione delle famiglie delle vittime del 2 agosto.
Si è comportata, quasi sempre, come un gruppo di pressione. Non solo per sollecitare il risarcimento che lo Stato deve a quanti sono stati oggetto di violenza terroristica. Non si può che essere dalla loro parte e deplorare i ritardi e le lentezze dei governi. Essi sono stati scandalosamente solleciti nell’assegnare alla famiglia di un mafioso come Giovanni Lima, caduto vittima in un regolamento di conti con i correligionari di Cosa nostra nel marzo 1992, un risarcimento stramilionario.
Menano, invece, il can per l’aia per quanto concerne i familiari meno legati a cordate politiche del rango di quelle di Giulio Andreotti. Altra cosa è annunciare che il 9 maggio nessun rappresentante di Bologna andrà a Roma per la cerimonia di commemorazione delle vittime del terrorismo in piazza Medaglie d’Oro. E, in secondo luogo, far sapere, in forma minacciosa, che è meglio che il governo non si presenti a Bologna alla prossima commemorazione del 2 agosto.
Un tono poco amichevole, ben oltre la contestazione, pare emergere anche dalla critica mossa alle decisioni della Procura di Bologna. “Le conclusioni dei pm — dice Boloognesi — sono un’acrobazia realizzata bypassando elementi investigativi seri”.
A chi ha lavorato per sei anni sulle carte e sulle accuse dell’associazione dei familiari delle vittime non appare un complimento, ma una delegittimazione vera e propria.
Spetta al ministro Orlando decidere se starsene accovacciato nel silenzio, a difesa della possibile scorta di consensi bolognesi ed emiliani alla sua candidatura, oppure mandare un telegramma di solidarietà al procuratore Amato e al pool dei pm. E segnalare al presidente del Senato Piero Grasso il comportamento assai anomalo di un suo membro.
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La “scomunica” di Giovanni Pellegrino
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