Doveva ancora nascere Matteo Salvini, quando venne lanciata una delle più orecchiabili canzoni degli anni Sessanta, “Marina”.  Ma forse dentro di sé oggi ne canticchia a sua volta il ritornello, dedicandolo alla versione francese della ragazza italiana, Marine Le Pen: “No, non mi lasciare / non mi devi rovinare…”. E lo fa magari ogni volta che gli scorrono sotto il naso i sondaggi provenienti dalla vicina Francia: dove alle prossime elezioni l’emergente Emmanuel Macron potrebbe schiantare ogni avversario; inclusa la rampante musa ispiratrice della linea sovranista imposta d’autorità al Carroccio dal suo felpato (ma non certo nel linguaggio) segretario. E alla quale settori significativi della Lega guardano con diffidenza, e anche con una punta di preoccupazione.



Il motivo è presto spiegato. La svolta ribellista impressa da Salvini al suo movimento ha indiscutibilmente pagato in termini di recupero di consensi, facendolo risalire dal baratro in cui l’aveva scaraventato il terremoto del post-Bossi. E tuttavia, quella risalita sembra aver toccato la soglia massima: da tempo i sondaggi inchiodano la Lega tra un 12 e un 13 per cento, di fatto affiancandola a (quel che resta di) Forza Italia. La quale ultima, oltretutto, sta smarcandosi nettamente dal Carroccio sulla linea politica, in vista delle prossime elezioni: sarà anche l’effetto del braccio di ferro in atto per la leadership del polo di centrodestra, ma sta di fatto che Berlusconi non perde occasione per ribadire una serie di posizioni ben distanti dal neo-sovranismo salviniano, e per rimarcare la distanza dal lepenismo alla francese. E’ chiaro che l’altro Matteo ha impostato tutta la propria strategia nel proporsi come l’esatto opposto di Matteo Renzi, e fa di tutto per imporre di sé un’immagine vincente. Ed è altrettanto chiaro che gioca tutte le sue carte sull’appuntamento elettorale, per passare all’incasso.



Ma proprio qui è il punto. Un successo di Marine Le Pen alle presidenziali francesi che si terranno a cavallo tra aprile e maggio, rappresenterebbe un indubbio volano per Salvini, che a quel punto si troverebbe in piena rampa di lancio. Ma se anche stavolta, come già in passato, il lepenismo non riuscisse a tradurre le pur robuste percentuali in un successo, e restasse inchiodato all’opposizione rumorosa, allora non solo la contesa per la leadership del centrodestra si risolverebbe in un successo di Berlusconi; ma ci sarebbe anche un effetto rimbalzo potenzialmente devastante dentro la Lega stessa. Dove un’ala tutt’altro che esigua, Maroni in testa (e con il silente quanto sornione Zaia di rincalzo), non condivide la sterzata politica di 180 gradi del segretario, apertamente sconfessata dallo stesso Bossi in nome di un ritorno all’originaria ispirazione federalista. E lì si aprirebbero scenari imprevedibili.



Anche l’ex lider maximo Bossi portò a suo tempo (era il 1996) la Lega a una percentuale a doppia cifra, cavalcando la secessione. Ma poi si rese conto che quel consenso era destinato a finire politicamente in freezer. E fece un’inversione ad U, riallacciando i rapporti col Cavaliere, e grazie a questo vedendosi aprire le porte del governo. Scrivere i proclami su una felpa dona larga visibilità. Ma nessuna sostanza.