Una moglie fedele come Maria Teresa Dolce non può ovviamente parlare male del marito, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, anche se qualche dubbio sui contenuti della difesa “istituzionale” e sulle norme del codice civile e penale sono stati sottolineate in queste ore dopo l’intervista a La Stampa. Sono passati due giorni dai fatti di Napoli, dove l’intemperanza del sindaco De Magistris ha cercato di dare sostegno ai manifestanti e centri sociali che volevano bloccare il comizio di Matteo Salvini alla Mostra D’Oltremare in centro città. È dovuto intervenire il ministro Minniti per obbligare il comune a non fare marcia indietro per un evento già programmato (che avrebbe dato battaglia vinta ai manifestanti pacifici che però avevano occupato uno spazio pubblico in maniera illegale per non fare arrivare Salvini). Purtroppo gli scontri ci sono stati e anche ingenti, con centri sociali e gli immancabili black bloc che hanno messo a ferro e fuoco il centro di Napoli, spaccando e creando una guerriglia urbana da brividi. Torna su quanto successo la moglie di De Magistris e lo fa così: «nessun imbarazzo, perché i black bloc erano ai margini del corteo. Che io ho comunque dovuto abbandonare prima che esplodessero le bombe carta perché mio figlio aveva la febbre. C’ era aria di festa, sembrava il carnevale di una settimana fa a Scampia. Le frange violente stavano a margine del corteo, noi non avevamo niente a che spartire con loro. Anzi eravamo sorpresi che fossero lì», racconta Maria Teresa Dolce. Alla collega Grazia Longo che nell’intervista chiede se la presenza della moglie del sindaco non potesse esacerbare ancora gli animi, la risposta della Dolce è semplice: «Manifestare è un diritto costituzionale. Eravamo animati da uno spirito pacifista e non potevamo tacere contro il razzismo di Salvini. Il suo odio per Napoli e per il Sud è cosa nota, un’ ostentazione continua sulla quale non ritengo sia giusto soprassedere. Quelli che prima del corteo suggerivano di evitarlo, di “fare attenzione”, facevano un’ operazione subdola. Era un modo per violare un diritto sancito dalla Costituzione: una sorta di nuovo fascismo. Sfilare in corteo sabato pomeriggio è stato importante, è sempre importante perché altrimenti è come farsi relegare nelle riserve indiane».
Per il comizio, cercando di dare appoggio ai manifestanti e centri sociali; il risultato secondo la moglie Maria Teresa Dolce? «Non voglio entrare nel merito dell’ autorizzazione e delle questioni che vedono coinvolto mio marito. Credo che Salvini avesse diritto a parlare a Napoli, ma forse sarebbe stata meglio un’ altra sede, slegata dal Comune. Peccato che, alla fine, gli scontri abbiano giovato solo a lui. In definitiva si è fatto il gioco di Salvini, tutta pubblicità a suo favore». Parla poi del ruolo del marito sindaco, da molti attaccato in questi giorni, e comprensibilmente lo difende ancora al termine dell’intervista con La Stampa: «Molti a parole vogliono la rivoluzione, ma poi non la vogliono fare. È un “vezzo” di Luigi, il “pazzo” è lui, ma poi invece se c’ è da raccogliere gloria e onore arrivano in tanti». Su Facebook, a caldo la sera dopo gli oneri violenti in piazza a Napoli, la stessa moglie del sindaco aveva cercato di difendere la scelta del marito, «Corteo pacifico, i black bloc li abbiamo visti e non erano nel corteo. Potevano essere fermati prima che si infiltrassero. Perché non è stato fatto? Sempre la stessa storia, ma non provate a stravolgere la Storia: il corteo non era violento e, se lo è diventato, è stato per infiltrazioni esterne. Questi sono i fatti, io c’ ero». Secondo la Dolce se del resto è legittimo che ognuno possa fare un comizio perché ha libertà di parola, è anche giusto quanto contestato da lei, dal marito e da molti manifestanti napoletani; «La libertà di manifestazione del pensiero è tutelata dall’ art. 21 della Costituzione Repubblicana, certamente, ma con dei limiti. È giusto che nel nostro Paese si possa ridere del diritto alla vita altrui, solo perché di colore della pelle diverso? È giusto non rispettare la dignità della persona umana? Per me no».