Ieri Matteo Renzi, con un discorso appassionato, ha chiuso la “tre giorni” del Lingotto, luogo simbolo della nascita del Pd nel 2007, Segretario Walter Veltroni. Non è per trascuratezza o altro che banalizzo questo periodo di tempo denso di eventi definendo questa “tre giorni” un tagliando obbligato che il pulmino Pd ha dovuto fare. Anzi, per rendere il paragone più stringente a quanto accaduto, è stato acquisito, senza cambiare marca, il modello più nuovo e più adatto a stare on the road in questo mondo “glocal”. È questo è avvenuto dopo che esponenti con i segni del “loro tempo” hanno scelto una rottamazione anomala, volendo colpire, in prima persona il guidatore, tentando di mandarlo fuoristrada.
Dalla crisi post-referendaria al re-inizio. Cosi può essere sintetizzato questo
Lingotto 2017 che ha la memoria degli eredi e non quella dei reduci, come è stato detto da Renzi. E ancor più sottolineato da Beppe Vacca e Luigi Berlinguer, come pure da Dario Franceschini, Roberta Pinotti, Don Amadori del Cottolengo, presente Don Ciotti. È un partito, “questo Pd” – rivendicato da Renzi e da tutti gli oratori che si sono succeduti – di sinistra e di centro sinistra. Non è tanto per dove siede in Parlamento o per come si saluta, o si canta, ma per quello che ha fatto, anche talvolta sbagliando, e che continuerà a fare. In primis, dovrà preparare la mozione congressuale da cui scaturisca a sua firma un progetto per il Paese.
È vero: la debolezza di una leadership resa oggettiva con il referendum o perseguita da avversari non peserà più perché il Pd non è il partito di un solo uomo, ma di una comunità. Questa comunità si riconosce in valori che passano al di sopra di etichette e di colori, ma che vengono resi vivi e continuativi dalla tradizione della sinistra, del cattolicesimo democratico e sociale che per riprendere Maritain fanno “umanesimo integrale” e non solo. Valori che ispirano idee che muovono per passione la politica: quella dei fatti. Cosi la cura della persona in tutte le sue declinazioni, quella del territorio e ambiente e la cura del futuro sono alla base di un patto di alleanza con tutti i cittadini. E questa alleanza è la forza visibile che surclassa quella della leadership comunque necessaria (come riconosce lo stesso Pisapia).
La forza del “Noi” che può più di quella dell’io. E l’alleanza ha tre campi d’azione dove giocano la sinistra e il centrosinistra che sono movimentisti per le idee, ma sono anche di governo e al governo per fare fatti di cui render conto agli elettori. E il Pd è tanto l’una quanto l’altra. Nel suo medium si genera, con l’alchimia del confronto, quel posizionamento nei confronti della società e delle altre forze politiche, partiti o meno, sui principi/valori. Essi sono di riconoscibilità e distinzione che, come ha detto Beppe Vacca, fanno del Pd un “partito della nazione”. Malevoli penne hanno scritto invece che quello renziano voleva essere “il partito della nazione”.
Lascia meravigliati questo presidente dello storico Istituto Gramsci. Lui – cosa condivisibile -sostiene che il Pd è e deve essere un architrave forte della democrazia in Italia per reggere lo smottamento populista. La nostra stessa democrazia non ha bisogno del partito della nazione, bensì di molti, in questo senso, tali. Indirizzo questo che non è stato smentito, né attaccato da un altro “old left man”, Luigi Berlinguer.
Vacca e Berlinguer: due oratori che hanno salutato la platea di circa duemila persone (io c’ero) con il pugno chiuso e con la parola compagni. Ma poi ritrovarsi ad ascoltare riveritamente più Roberta Pinotti su Tina Anselmi che non Maria Elena Boschi sul principio femminile pilastro della società da valorizzare e da difendere. Cose peraltro che fece la Anselmi. Il magistrale passaggio politico fatto da Renzi, a mio parere, è stato prendere il testimone da Marco Minniti sui fatti di Napoli con Salvini, l’accaduto di Palermo e i fatti di Roma con la Raggi, lanciando poi una provocazione a Di Maio e Di Battista. Cosi l’ex segretario nel riprendere il disegno delle vie future del Pd ha fissato tre principi.
Il primo è la legalita: non si fanno alleanze con chi nega la legalità. Difendere la legalità significa difendere la democrazia e sostenere il secondo principio, quello della giustizia. Chi ha detto che sicurezza e protezione sono appannaggio della destra? Un Paese impaurito diventa un Paese arrabbiato. Di fronte al patrimonio politico populista dato dalla paura, il Pd deve rispondere facendosi carico di mostrare che può sostenere protezione e sicurezza di cui necessitano i ceti più deboli. Questo è nel suo DNA e chi sostiene il contrario è un maldicente che manipola la realtà.
La giustizia deve essere per tutti. Non può essere di parte e ognuno è e resta innocente fino al giudicato. Il terzo punto è la scienza, che è anche sapienza in senso classico. È motore di futuro perché dando dignità scientemente, è e deve essere appannaggio di tutti. Per esempio, è qui il valore intrinseco dell’educazione per la scuola dell’obbligo. Così nel tempo si arriva a sostenere la libertà che s’intreccia con la dignità nel mondo degli adulti.
Nel mondo di muri che vuole Trump, e non solo lui, assume dunque una fortissima valenza civica e sociale. Il libro come simbolo della scienza e dell’educazione (e non del farneticare pre e post ideologico) porta oltre. Esso può portare a un sogno (Minniti a questo proposito ha citato il Lawrence de “I sette pilastri di saggezza” come uscita dagli spazi di oppressione e dal senso di paura citati in “Crisi della civiltà” da Huizinga) Il muro è un segno di divisione obbligata dalla paura. Il libro, come accaduto, frantuma il muro, accomuna e quindi sostiene l’inclusione. Offre a tutti vie per crescere, ai millenials in particolare.
Eugenio Scalfari ha scritto su Repubblica che Renzi tornerà al potere usando demagogia e carisma. Per me si sbaglia, parola di testimone per tre giorni. Se tornerà al potere sarà perché il vero vincitore sarà un Pd che da questo Lingotto 2017 ha preso corso per navigar tra flutti e marosi. Ho iniziato con l’esempio di un pulmino, concludo con quello di un battello. In marina la demagogia fa ben poco se l’intero equipaggio non è convinto del proprio ruolo prima che del capitano.