Un caso politico ma forse anche qualcosa di più: Augusto Minzolini, senatore di Forza Italia condannato in Appello e ieri “salvato” dalla decadenza in Senato con il voto decisivo anche di alcuni sen. del Pd, ha suscitato un vero e proprio bailamme di commistioni tra giustizia, politica e anche scelta culturale che ancora scuote la politica italiana il giorno dopo. Minzolini, assolto in primo grado per peculato e condannato in secondo – ma con la sentenza emessa da un magistrato (Giannicola Sinisi) fino a pochi mesi prima senatore Pd e opposto al forzista Minzolini – ha visto votare contro di lui e a favore della sua decadenza il M5s compatto e i nuovi gruppi di Mdp e Sinistra Italiana. Di Maio ha suscitato un nuovo caos dopo le sue parole ieri a caldo che parlavano di colpo di stato contro la Repubblica; «hanno salvato la faccia, la pensione e il vitalizio di un condannato andando contro la legge Severino. Io lo considero un atto eversivo che costituisce un precedente pericolosissimo. Renzi ha perso definitivamente la faccia, non potrà più parlare di legalità e giustizia. “E’ un caso che l’altro ieri hanno salvato il renziano Lotti e ieri il berlusconiano Minzolini? Bisognerebbe andare alle urne e non votarli mai più, ieri si è fondato il partito degli amici degli amici..». Non da meno la motivazione offerta da Mdp, nelle parole del leader Roberto Speranza, «La domanda che rivolgo al Pd è che cosa è cambiato dal 2013 a oggi. Allora si votò a favore della decadenza di Silvio Berlusconi in applicazione della legge Severino. Ieri invece in Senato è stata data libertà di voto e si è sostanzialmente evitata la decadenza del senatore Augusto Minzolini con l’apporto di 19 senatori Pd e molti altri assenti».



E invece chi ha votato contro la decadenza di Minzolini e di fatto ha permesso al senatore di rimanere tale, perché lo ha fatto? Il nodo resta la legge Severino ma forse conviene fare un passo in più in profondità per capire i motivi di tale azione; il Senato, come la Camera, esprime non un tribunale che definisce chi condannare e chi assolvere, ma è chiamato a giudicare se vi sono dei legittimi sospetti o meno di implicazioni politiche dietro le condanne e i procedimenti contro i parlamentari. E in questo caso è stato giudicato legittimo il sospetto che la condanna a Minzolini possa essere stata “contaminata” da un giudizio politico. La pensa così Pietro Ichino, senatore dem, come spiega oggi al Corriere della Sera: «ho ben presente i motivi per cui un voto come quello contro la decadenza di Augusto Minzolini potesse sembrare come un voto «a favore della casta. Ma c’erano altre ragioni, prevalenti, per votare no, nonostante io detesti il modo di intendere il giornalismo di Minzolini. La prima è una perplessità sulla condanna: «Studiando la questione, sono rimasto molto colpito dal fatto che non gli avessero dato le attenuanti generiche, che si danno a tutti gli incensurati, soprattutto quando hanno risarcito il danno». Ma non si ferma qui Ichino, tra i senatori accusati dal M5s di aver tradito lo stato per votare “ancora una volta per l’inciucio”: «Ho visto che la sentenza di primo grado di assoluzione è stata rovesciata da una Corte d’ appello di cui faceva parte un magistrato, Giannicola Sinisi, che è stato per due decenni in Parlamento nello schieramento opposto a Minzolini. Questo mi pare un caso in cui l’ obbligo di astenersi è ovvio. Ma non è stato così. La decadenza non è automatica. E per capire come sia giusto che il Parlamento abbia un ruolo, basta vedere quello che accade in Turchia, con la condanna di molti deputati dell’ opposizione da parte di giudici evidentemente sensibili agli orientamenti del governo».

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