Forse il punto su cui tutti hanno concordato alla fine dell’assemblea del Pd al Lingotto è il plauso per l’intervento di Marco Minniti il quale ha in sostanza detto: il leader è importante, ma il partito pure. In altri tempi una cosa così sarebbe stata attribuibile all’ovvio Marquis Jacques II de Chabannes de La Palice.



Oggi, che di lapalissano sembra non esserci più niente e si viaggia nel mondo delle “post-verità”, quello di Minniti è uno sforzo per riportarci tutti coi piedi per terra. Infatti l’organizzazione, il partito, è più importante del leader. Un’organizzazione può resistere senza leader (si vedano mille eserciti e la recente storia del Pci o della Dc) ma un leader è semplicemente nulla senza partito, come i mille Don Chisciotte in giro dimostrano.



Quello dell’organizzazione è un problema che va al di là del Pd. Infatti il problema strutturale dei 5 Stelle è questo: un’organizzazione apparentemente “liquida”, in realtà troppo rigida e dirigista, dove non si sa bene chi fa cosa. I comandi arrivano per internet-magia: quattro-cinque persone con tempo da perdere a smanettare sul telefonino “moderati” dalla Casaleggio associati. Il leader carismatico di M5s, Beppe Grillo, appare come un unto del Signore oppure un vile, quando getta il sasso nello stagno e tira indietro la mano. In questo, la vicenda del blog di Grillo, dove l’ex comico spara insulti salvo poi dire “non sono io”, è giustamente comica. Ma non è quello che dovrebbe essere un politico in ogni parte del mondo: un organizzatore e un nobile tessitore di progetti. 



Il rischio, con un’organizzazione così sottile, è che in caso di sconfitta o di malore di Grillo (il suo sodale, Gianroberto Casaleggio, appunto è scomparso) il movimento semplicemente si sciolga come nebbia al sole, velocemente come è nato.

Il caso di Silvio Berlusconi è diverso. Capo di un’azienda, conosce a fondo il valore dell’organizzazione e della mediazione. Purtroppo per lui oggi è preso in una morsa: deve sistemare  i suoi affari e gli serve un’organizzazione debole, perché non può prendere il comando. Inoltre spera che la sentenza della Corte di Strasburgo gli ridia la dignità persa con i tribunali in Italia. Ma adesso è per lo più fuori gioco.

Questo ci riporta al Pd, partito che aveva un’organizzazione. Forse il Pd, prima ancora che pensare al circo delle primarie, dovrebbe ricominciare tutto da zero. Se Renzi vuole fare il capo del partito, il generale a quattro stelle, non può fare anche il soldato, il sergente, il tenente, eccetera. Deve esserci una chiara divisione di ruoli e competenze. 

Né Renzi può sperare di governare solo con uomini suoi. Questo è un altro punto importante. Il filosofo Hanfei-zi nel III secolo avanti Cristo insegnava che la virtù principale del sovrano è scegliere i ministri. Ma il re non può scegliere tutti i ministri, quindi quelli che sceglie sono cruciali. Dopo la scelta poi il re deve appoggiare i ministri che non ha scelto. In questo modo può sperare di avere tutto l’apparato, suo e non, dalla sua parte.

In altre parole a sentire Hanfei-zi, l’architetto dell’organizzazione imperiale e della prima unificazione cinese, Renzi avrebbe dovuto scegliere sì la Boschi e Lotti, ma mai avrebbe poi dovuto sostenerli a spada tratta. Certo questo è diverso in un mondo dove l’autorità del leader non è marcata nella roccia, bensì frutto del sostegno dei propri simili. Ma è proprio questo che serve: un’organizzazione in cui Ren-zi, o chi per lui, disegni un organigramma.

Dalla Cina, dove siamo fanatici di organizzazione, ci permettiamo quindi qualche suggerimento.

Paolo Gentiloni deve fare il premier, con certezza, ora e magari anche nelle prossime elezioni. Se Renzi vuole fare il capo, faccia il capo del partito. Del resto questa era la divisione dei compiti nella Dc: il capo vero era al partito, al governo stava un altro. Se Renzi vuole fare il primo attore non può governare. 

Oltre a questo, se parlassimo di un esercito, qualcuno dovrebbe fare i piani di battaglia, un altro occuparsi degli armamenti, un altro delle informazioni, eccetera. Se il comandante in capo si occupa di tutto dalla A alla Z e non delega, la guerra è persa in partenza. In questo senso la divisione di ruoli fra Filippo Sensi, che si occupa della comunicazione del premier, e Michele Anzaldi che penserà al partito, è un passaggio significativo per il Pd.

Il Partito cinese con Xi Jinping ha dedicato i primi tre anni del suo governo al dang jianshe gongzuo, qualcosa che si potrebbe tradurre vagamente con “lavoro di edificazione del partito”. In un esercito sarebbe la preparazione: l’addestramento di base di soldati e ufficiali, l’organizzazione della catena di comando, il lavoro politico da fare sui militari (è gente che dev’essere disposta a morire e per questo deve avere un ethos specifico), eccetera.

Il Pd di Ren-zi dovrebbe partire da qui, non dalla visibilità del suo leader. Del resto, per gli increduli, basta guardare all’esperienza del Papa. È popolare Bergoglio che ogni giorno si fa vedere e incontra gente, ma era popolare anche Ratzinger che si nascondeva e si mostrava il meno possibile. Questo certo accade per tanti motivi, ma soprattutto perché la Chiesa è forte e ciò rende forte il suo leader al di là di chi possa essere.

Si faccia un confronto per esempio tra Bergoglio e il Dalai Lama. Il Dalai Lama è capo di una religione importante e affascinante da quasi 80 anni, ha girato tutto il mondo e tutti lo conoscono, e l’ostracismo ricevuto in Cina per molti versi ne ha esaltato la figura. Ma Bergoglio, papa da appena quattro anni, è molto più influente e popolare del Dalai Lama. Ciò semplicemente perché da una parte c’è la Chiesa cattolica, dall’altra qualcosa di molto più esile.

Se Renzi vuole diventare Ren-zi, o Grillo vuole sopravvivere a se stesso e ai suoi comizi, allora seguano la chiesa, pensino a organizzarsi.

(Traduzione dal cinese di Francesco Sisci)