Papa Francesco ha ricevuto ieri i 27 capi di stato e di governo dell’Unione europea, aprendo virtualmente le celebrazioni per i 60 anni dei trattati di Roma.
“Mi sembra che l’intero, profondo ed imponente discorso di Francesco estenda all’Europa intesa non solo come fatto storico e culturale, ma anche come progetto politico la sua visione di misericordia — dice al sussidiario Mario Mauro, già vicepresidente del parlamento europeo, poi ministro della Difesa nel governo Letta e oggi senatore di Forza Italia —. Invita a comprendere le differenze e non omologare, sollecita i responsabili a ‘non fare mai troppo tardi’ richiamando i padri fondatori e soprattutto è convinto che ‘l’Europa meriti di essere costruita’. Le parole pronunciate in Campidoglio sessant’anni fa dall’allora primo ministro lussemburghese Joseph Bech sono diventate quelle di papa Francesco. E, mi auguro, il compito di molti politici coraggiosi”.
Con i trattati di Roma del ’57 prende il via l’integrazione europea. Mattarella, parlando alla Camera, ha detto che la riforma dei trattati è una sfida “ineludibile”. Neanche un mese fa invece la formula di Juncker per il futuro dell’Ue era “avanti così”. Lei con chi sta?
Quell’intervento di Juncker altro non ha fatto che misurare la reale volontà politica non semplicemente dell’establishment di Bruxelles quanto piuttosto degli stati membri. In questo frangente storico e con le tornate elettorali che si annunciano, i governi si guardano bene dall’aprire una discussione sulla modifica dei trattati, che credo verrà rimandata a circostanze più felici.
Le parole di Mattarella?
Una profezia e un impegno che non dobbiamo disattendere. Intervenire sui trattati è ineludibile perché il contesto socioculturale, identitario e storico europeo in sessant’anni è radicalmente mutato. Ancor prima di dire quali sono i punti da modificare, occorre prendere atto di questa trasformazione.
E poi?
Credo che l’uomo politico che in questi giorni abbia con più crudezza e con più efficacia fatto capire l’entità della sfida, sia Erdogan. Ha ricordato all’Europa che cos’è realmente: un paese di vecchi.
Il monito di Erdogan alle famiglie turche di fare almeno cinque figli ciascuna per contendere la leadership agli europei in casa loro.
Un’Europa che non affronti prima di tutto il problema identitario, quello di dare a milioni di giovani ragioni adeguate per mettere su famiglia e mettere al mondo dei figli, è destinata a finire. E’ questo il primo problema che investe la riforma dei trattati, perché i trattati si propongono l’integrazione.
Una parola che sembra però smentita dalle vicende politiche ed economiche di questi anni. Che cos’è l’integrazione europea?
Oggi è una sequenza di meccanismi burocratici che sempre più devono garantire l’omologazione delle norme e delle strutture del mercato unico. In realtà integrazione vuol dire pensare europeo. Pensare europeo da parte di tedeschi, francesi, italiani, danesi, eccetera. L’integrazione senza un dibattito pubblico europeo non esiste.
In assenza di questo dibattito pubblico, che cosa resta?
Un meccanismo politico di scaricabarile a vantaggio dei paesi più forti.
Lei prima parlava di importanti trasformazioni sociali su scala europea.
La prima è quella che ha posto le basi della costituzione europea. Oggi lo abbiamo dimenticato, ma la costituzione europea è stata affondata dal timore di due paesi, Francia e Olanda, della sfida rappresentata dall’idraulico polacco: la paura, sociale prima ancora che politica, di affrontare le sorti e il destino delle genti dell’est. Oggi la sfida è centuplicata dai fantasmi del terrorismo e dalle storture di un’immigrazione mal gestita.
Ancora Mattarella: “la soluzione alla crisi sui debiti sovrani e a quella sul rallentamento dell’economia non può essere la compressione dei diritti sociali nei Paesi membri”. Però la riforma dell’articolo 81 della Costituzione fatta durante il governo Monti ha smantellato il welfare italiano.
La modifica di quell’articolo della Costituzione è solo l’antipasto di quello che chiamiamo Fiscal compact, cioè un meccanismo che deve consentire di ripianare il debito secondo standard che ad oggi non sembrano abbordabili da parte dell’Italia. Ci sono meccanismi che non rispondono alla politica e vanno contrastati. Anche questo deve fare parte della ridefinizione del contesto in cui viviamo. Un compito preliminare alla revisione dei trattati di cui parla giustamente Mattarella.
Quello dell’Ue a più velocità è divenuto il primo tema nell’agenda di incontro bi- o trilaterali sempre più frequenti. Che ne pensa?
Il tema dell’Europa a più velocità è l’ennesimo artificio retorico, perché l’Europa a una sola velocità, cioè un’Europa che potesse dispiegare compiutamente un meccanismo comunitario, non c’è mai stata. Si è privilegiato il metodo à la carte: i francesi hanno fatto rinunciare l’Ue alla difesa comune; molto hanno preferito rinviare o negare il percorso della moneta unica, altri hanno negoziato o esigendo degli sconti, o contestando puntualmente, come nel caso dei paesi dell’est, quegli aspetti dei trattati che erano indispensabili per procedere tutti all’unisono.
D’accordo, ma di chi stiamo parlando?
Francia e Germania vogliono la centralità della locomotiva franco-tedesca e dividono i paesi tra quelli che rispettano lo schema e la tabella di marcia e quelli che non lo fanno. Ciò che però, al tempo stesso, manda lo schema in frantumi è che entrambe hanno una visione tutt’altro che comune dell’integrazione europea: in Francia è sempre prevalsa l’impostazione gaullista, centrata sulla sovranità nazionale; in Germania quella federale.
Come uscirne?
Rifiutando quello schema. Più che di adesione ad un progetto, è il non voler essere coinvolti dai guai degli altri. E’ un’impostazione egoistica.
Lei cosa propone?
Sono molto più affezionato al metodo comunitario: avere a cuore che nessuno resti indietro, senza chiedere sacrifici eccessivi per rimanere nel gruppo di testa. L’Italia oltretutto ha già pagato e anche in modo assai salato un’impostazione come quella di cui sopra.
L’Italia viene accusata di non rispettare i parametri europei, eppure nel 2012 a costo di enormi sacrifici ha accettato le richieste europee e oggi si appresta a manovra aggiuntive. L’euro, difeso politicamente da tutti, alimenta squilibri, soffoca la crescita di alcuni a scapito di altri e fraziona socialmente e politicamente l’Europa.
E’ la verità. Questo tema è il vero cuore della questione, rispetto al quale non bisogna deflettere cadendo nell’inganno che viene proposto, in modo interessato, da paesi come la Germania. Le cose più dure e più realiste le ha dette Helmut Kohl quando accusò, si badi, non i suoi avversari politici, ma il proprio partito, di volere un’Europa tedesca e non una Germania europea.
Sta ammettendo che le politiche europee mascherano politiche nazionali egemoni.
E’ un fatto di realismo pensare che lo sviluppo del processo europeo, proprio perché è un progetto politico, avvenga sulla base di rapporti di forza, non di affermazioni di carattere filosofico o ideologico. Ciò detto, fare politica in questo ambito di relazioni e istituzioni non significa battere i pugni sul tavolo, ma costruire alleanze. Bisogna esserne capaci.
L’Italia cosa deve fare?
Riconsiderare la propria strategia. Mi appello al centrodestra di cui faccio parte: anziché dividerci in una stucchevole polemica tra europeisti e sovranisti, elaboriamo alla svelta una strategia che riporti il paese al centro delle relazioni europee. Chi non ha una “patente di guida” che certifica la capacità di condurre l’Italia nel prosieguo del progetto europeo, molto probabilmente verrà sempre considerato “unfit”, cioè non nelle condizioni per poter governare il paese.
Ma ci può essere una politica monetaria unica?
Questo dipende esclusivamente dal fatto che ci siano le riforme politiche atte a garantirla. Nel frattempo, è abbastanza curioso che ci siano paesi che hanno una moneta unica pur avendo conservato sistemi fiscali profondamente diversi. Il discorso si può estendere. E’ come se facessimo tutti la stessa gara, alcuni però con uno zaino pieno di sassi.
Mettiamo per un attimo da parte ogni idealismo. Unione europea perché?
E’ l’unica piattaforma politica per poter reggere la competizione su scala globale.
Cosa pensa della proposta di Tremonti di modificare l’articolo 11 della Costituzione, tornando alla versione del ’48, per sancire la parità dell’Italia nella sovranità con gli altri Stati?
E’ condivisibile: anche nell’ordinamento tedesco la legislazione europea necessita sempre del vaglio della Corte costituzionale e del suo controllo di compatibilità. Ogni progetto di modifica va però inserito nel ripensamento necessario di cui si diceva all’inizio: gli stati nazionali devono capire che l’orizzonte europeo è il solo che può mettere in sicurezza la pace e i bisogni di una generazione.
(Federico Ferraù)