Nella Sala degli Orazi e Curiazi, in Campidoglio, c’è tutto il grande quartier generale dell’Unità europea. Parla il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk: “I 27 devono dimostrare di essere i leader di questa Europa”. Tusk è un polacco, che i suoi connazionali non volevano riconfermare al posto di presidente, ma che è stato “adottato” dai tedeschi e quindi è rimasto, “democraticamente”, al suo posto. 



Il presidente della Commissione europea, il famoso croupier fiscale lussemburghese Jean Claude Junker, forse appena un po’ più sobrio del solito, è dispiaciuto che la britannica Theresa May non sia presente e che avvii mercoledì prossimo la procedura per la Brexit, ma in compenso dice che l’Unione europea festeggerà non solo il 60 compleanno come questo del 25 marzo, ma anche il centesimo. Forse come fanno a Trieste i nostalgici dell’imperatore asburgico Francesco Giuseppe, il famoso Cecco Beppe, ogni anno in una birreria.



Il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, specifica invece che “Bisognerà rivedere i trattati, tutti. Ora inizia una fase costituente”. Parla anche Paolo Gentiloni, il nostro premier, e se pure invoca il “coraggio dei padri”, fa una fotografia della stato dell’Europa che lascia esterrefatti. Perché, in sostanza, dice che ora occorre “più difesa comune, più attenzione alle politiche migratorie e quindi la crescita e il lavoro”. 

Verrebbe voglia da dire: alla faccia! Quasi l’ammissione di una totale mancanza di presenza politica autentica, di comprensione per i reali problemi dei cittadini europei, la spiegazione del perché questa Europa ai suddetti cittadini non piace più.



Il documento che rinnova l’impegno unitario è stato firmato da tutti, ma c’è voluta qualche contorsione e qualche “aggiustamento”, soprattutto per i polacchi, sempre critici e anche diffidenti, come molti altri sulla famosa Europa a “velocità variabile”: un cruciverba che occorrerà vedere nella realtà. E anche per i greci, “ammazzati” letteralmente dalla perspicace politica dei Wolfgang Schäuble o dagli economisti tipo il nostro Mario Monti, che disse, a suo tempo: “il successo dell’euro si vede in Grecia”. 

Il fatto è che questa Europa, al di là dei quintali di retorica e dei ricordi epici, è in un mare in tempesta che aspetta con ansia se arriverà o meno il “tifone” Marine Le Pen. Ormai, Emmanuel Macron, il radicale, ministro in un governo socialista, ora fondatore di “En marche”, è diventato una sorta di salvatore non solo della Francia, ma di tutta l’Europa. “Non c’è eurocrate che non lo citi e forse vorrebbe gridare “santo subito”.

E nonostante il ricordo dei “padri fondatori”, del loro “coraggio”, della loro fede e del loro impegno, tutti sembrano rivolti con il pensiero, quasi ossessivamente, al prossimo 23 aprile, primo turno delle elezioni francesi, e probabilmente al 7 maggio, giorno del ballottaggio della paura.

Così, in una Roma blindata, dove è stato chiuso anche lo spazio aereo, passa la massaia teutonica, Angela Merkel, la meno europeista della storia politica democratica della Germania (quanto aveva ragione il vecchio cancelliere Helmut Schmidt!); passa il francese François Hollande, l’auto-desaparecido dalla politica francese e uno dei “becchini” del socialismo europeo, forse solo alla pari con il famoso olandese Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo e autentico killer del laburismo nel suo Paese: in un colpo solo ha perso quasi una trentina di seggi.

A ricevere questa famosa “classe dirigente”, che sembra divisa su tutto, è stata il sindaco Virginia Raggi, la pentastellata reduce da un soggiorno di riposo sulle Dolomiti e trascurata persino dalla Rai nelle sue parole di saluto (ne sta nascendo un caso).

Non si vedono presenze importanti del Partito democratico, da Renzi a Emiliano allo stesso Orlando e neppure dei dissidenti fuorusciti, da D’Alema a Bersani. Evidentemente da questa Europa c’è chi vuole prendere al momento le distanze.

Ma quello che fa più effetto è che ci sono più rappresentanti delle forze dell’ordine che cittadini, anche quelli impegnati in assenso o in protesta verso l’Europa. Impietoso il confronto con la visita di Papa Francesco a Milano. Le televisioni lanciano le immagini e sono documenti che fanno pensare a che cosa pensano le persone in questo momento. Ad ascoltare la messa del Pontefice al Parco di Monza, si calcola approssimativamente la presenza di un milione di persone e lungo il tragitto e poi nella manifestazione dello stadio di San Siro, ci sono altre centinaia di migliaia di donne, uomini,vecchi e bambini. 

Nella blindatissima Roma, con tutta la classe dirigente europea che si fa fotografare in immagini storiche, ci sono manifestazioni e sit-in di vario tipo: europeisti di destra e di sinistra, antieuropeisti di destra e di sinistra, europeisti e basta, anarchici di varia impostazione e natura: contro tutto e contro tutti “per un mondo migliore”. Neanche si fosse tornati ai tempi dei bluson noir. 

Finisce tutto con manifestazioni brevi, ritardi, ispezioni meticolose della polizia, qualche schiaffone, per una partecipazione complessiva, in tutto, di circa diecimila persone.

Non c’è proprio notizia, al momento, per questa Europa. Ma presto potrebbero arrivare novità da far cadere le braccia.