Caro direttore,

L’attuale vicenda sulla raccolta firme “irregolari” da parte del Movimento 5 stelle che ha consentito a Virginia Raggi di diventare sindaco di Roma, denunciata dalle Iene, al di là delle incongruenze procedurali, evidenzia una questione più di sostanza: che raccolgano o meno il consenso a livello elettorale, gli attuali partiti e movimenti politici rappresentano ormai solo se stessi e non un popolo di cittadini.



Alcuni elementi.

Come esponente di partito della prima repubblica (troppo frettolosamente liquidata) ma anche della seconda, ho personalmente provveduto a organizzare raccolte firme a vari livelli di elezioni.

Si usavano gli strumenti consentiti dalla legge: notai, pubblici ufficiali, uffici comunali e successivamente anche i consiglieri comunali.



Durante la fatidica prima repubblica, nonostante non esistessero i potenti mezzi di comunicazione attuali, il lavoro era persino semplice. Perché? Perché i partiti non erano serbatoi vuoti. Gli iscritti erano iscritti reali. Erano tanti, sufficienti spesso a coprire la gran parte delle firme richieste. Erano, almeno idealmente, dei militanti che si facevano direttamente carico di promuovere e sostenere le raccolte. Queste erano assolutamente gratuite, perché il volontariato politico a livello di base era un valore riconosciuto e praticato.

Non voglio qui mitizzare una politica che anche allora presentava le sue lacune e i suoi difetti, ma i partiti fondati sulle ideologie erano anche partiti ideali con tutti i vantaggi del caso.



Le prime difficoltà le incontrammo dopo Tangentopoli. I partiti storici e le loro organizzazioni si sfasciarono sotto i colpi della magistratura. Nacque la disaffezione alla politica. Da allora, la figura del nuovo militante è sempre più spesso quella di uno che persegue comunque dei vantaggi personali e le squadre che si formano sono legate non dagli ideali, ma dagli interessi. Ecco che organizzare le raccolte di firme diventa un’operazione più critica. Esse passano attraverso gli “opinion leaders” che spesso richiedono di essere pagati e che si organizzano come credono in termini di raccolta ed autenticazione.

Le certezze sulla corretta raccolta svaniscono. Un rappresentante di lista può solo confidare che le persone agiscano correttamente, ma raramente è in grado di controllarlo.

I disguidi, le firme rilasciate a liste concorrenti, le firme di interi gruppi religiosi, etnici, associazioni ecc. non si contano. Io stesso ho dovuto recarmi presso il Tribunale di Monza perché il mio nominativo era stato utilizzato — falsificando la firma — su di una lista comunale.

Ma veniamo al partito virtuale. E’ l’idea, certamente astuta e che ha saputo interpretare i tempi, del Movimento di Grillo. Una “oligarchia allargata” per un certo numero di membri della rete, probabilmente meno in tutta Italia dei soli iscritti alla Democrazia cristiana della mia zona ancora negli anni ottanta.

Ora, anche in questo caso — nel caso del M5s — viene prima o poi il momento in cui occorre passare dal “partito virtuale” ad una raccolta di firme reale certificata. Assicuro che non è semplice se ti manca la militanza ideale. C’erano 34 liste a Roma alle elezioni comunali del 2016 e ciascuna doveva presentare almeno 1000 firme valide. Non è una impresa titanica (sono state anche molto ridotte rispetto al passato).

Ma, in un’epoca in cui la disaffezione dei cittadini li ha resi restii anche a queste forme di partecipazione civile, esige comunque la presenza di un’organizzazione reale, motivata ed efficiente sul territorio.

Il problema è non la spettacolarizzazione delle Iene o chi per loro, ma la presenza di un popolo che non c’è più e che bisogna ricostruire. Diversamente ci resterà solo un video virale e lo sputtanamento generale. 

Socrates Valmaggi