Non si discute seriamente di legge elettorale in parlamento perché il Pd è impegnato col suo congresso. A dir la verità dopo tre anni di parlamento paralizzato perché Renzi ed i suoi accoliti erano occupati con la fake-ingegneria costituzionale, la cosa non fa notizia più di tanto. La vita istituzionale del paese altro non è ormai che una lunga prolusione per trovare un posto a Renzi. L’angoscia procuratagli dalle doppie dimissioni lo spinge in questi giorni ad onnivore interviste dove spazia dall’Europa al papa ed al papà senza dimenticare le scintillanti vittorie della Ferrari, quasi che Vettel facesse di nome Matteo.
Renzi ha fretta. Rivuole ciò che reputa suo di diritto. Il paese Italia. Il posto di presidentedelconsigliopresidentedellarepubblicasegretariodelpartitograncaposcout e forse anche quello di Giorgio Mastrota, re delle televendite. Vuole tutto e subito. E lo vuole “con grande determinazione”.
Letta invece gioca all’intellettuale disorganico e ai microfoni dell’Annunziata sulle reti Rai controllate da Renzi cala l’asso di briscola. Alle primarie voto Orlando. Proprio così. E potrebbe sembrare solo un dispetto nell’eterna saga pisani e fiorentini, se non fosse che i fuoriusciti del Pd da D’Alema a Bersani a Speranza sono solo la parte più tenera tra coloro che sono avversi al “grassottello” spietato antagonista di Emiliano ed Orlando. E che hanno invece scelto di rimanere nel partito.
I renziani fanno spallucce. Troppo oliata la macchina del consenso di Matteo, forte dei signori delle tessere campani, calabresi e siciliani. Mentre Renzi continua a parlare di rinnovamento ed innovazione il suo ipotetico successo è legato mani e piedi ai De Luca, agli Oliverio, ai Crisafulli.
E ai cinesi di Sala. Già, proprio così perché qualche giorno fa, preso atto dei silenzi del sindaco di Milano sulle primarie, Renzi si è affacciato nella capitale meneghina con una curiosa richiesta. Caro Beppe, perché non porti i cinesi artefici del tuo successo su Parisi a votare alle primarie dove peraltro potrebbero votare anche quelli che non hanno ancora la cittadinanza. Sala impassibile gli ha servito del tè verde. Chi c’era ha detto che Matteo era dello stesso colore. E sempre a Milano è sbarcato Michele Emiliano. Grazie ai buoni uffici di Filippo Penati, già potente proconsole di Bersani è stra-assolto per guai giudiziari frutto di malvagità ed invidia. Ma profondo conoscitore del territorio e deciso a vender cara la pelle, in particolare contro l’ex delfino Martina oggi in tandem con Renzi per la segreteria.
A Milano, alla camera del lavoro è sbarcato anche Orlando. Che macina buoni numeri anche se si preoccupa di non forzare troppo la mano. Come dice Letta lui vuole solo unire non dividere. Intanto l’Italia si divide sul lavoro, sull’immigrazione, sull’euro e sull’Europa. Sul fine vita persino. Addirittura su terrorismo islamico e Trump. Ma sono solo titoli sullo sfondo. Ci sono le primarie del Pd. E la storia ricomincia a scorrere solo dopo il 30 aprile.