Quante parole dentro e attorno al caso Consip. Al solito. Intercettazioni, interrogatori, leak giudiziari di ogni genere. E poi: tweet, post facebook, dichiarazioni di rito o in codice. Ma non mancano neppure silenzi grossi, pesanti. Più di tutti spicca quello del ministro dell’Economia e della Finanze Pier Carlo Padoan: è lui l’azionista unico della Consip. E’ a lui che tecnicamente fanno capo le “partecipazioni statali” e i loro top manager: come i presidenti e amministratori delegati di Eni, Enel, Poste, Fs, Terna, Leonardo-Finmeccanica (le nomine di primavera cui, in silenzio, sta lavorando soprattutto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi).
Il primo silenzio istituzionale, per la precisione, è quello del presidente della Consip: Luigi Ferrara, capo dipartimento amministrazione generale, personale e servizi del Mef. E’ lui il superiore diretto dell’amministratore delegato Luigi Marroni. Quest’ultimo, interrogato dai Pm di Napoli lo scorso 19 dicembre, ha detto di aver ricevuto pressioni da Tiziano Renzi, padre dell’ex premier. Un anno prima Matteo Renzi era stato lo sponsor della nomina al vertice Consip dello stesso Marroni, già assessore alla Sanità della Regione Toscana. E’ Marroni, ancora, ad aver messo a verbale di aver saputo dal ministro Luca Lotti delle intercettazioni sulla sua linea telefonica.
L’altro ieri Marroni ha detto di aver chiesto e subito ottenuto un colloquio con il ministro Padoan, mettendo a disposizione il suo mandato. Padoan – sempre a dire di Marroni – gli avrebbe riconfermato la fiducia mentre ora il capo operativo della Consip si dice pronto “ad annullare le gare sospette”. Buona prassi societaria vorrà che ne parli nel cda Consip (oltre a Ferrara vi siede un’altra dirigente del Tesoro, Maria Laura Ferrigno) sotto l’occhio vigile di cinque sindaci: Alessandra Dal Verme (presidente del collegio), Jacopo Lisi, Luigi Spampinato, Evelina Brandolini e Nicola Caccavale. A Consip non manca nemmeno la supervisione di due magistrati della Corte dei Conti (Antonio Galeota e Donato Luciano). Qualcuno di costoro, in via XX Settembre e dintorni, chiederà all’amministratore delegato spiegazioni sulle tonnellate di inchiostro versate in questi giorni dai giornali su Consip per il caso “Marroni-Renzi”?
A un riserbo – non abituale – è forzato anche Raffaele Cantone, presidente dell’Anac: il cui fratello Bruno, avvocato, è stato sentito dai Pm di Napoli su Consip. Quest’ultimo è stato infatti consulente legale di Alfredo Romeo, l’imprenditore napoletano il cui arresto ha fatto culminare l’escalation politico-giudiziaria attorno a Consip. Solo negli ultimi giorni si è appreso anche che nel corso del 2016 l’Anac ha condotto ispezioni alla Consip: registrando anomalie nella gestione dei contenitori d’appalto Fm3 e Fm4 (quest’ultimo aveva come diretta controparte Romeo). I rilievi erano stati trasmessi alla Procura di Roma (non a quella di Napoli che ha poi avviato autonomamente le indagini penali).
Nel frattempo il super-commissario anti-corruzione si è trincerato dietro argomenti da convegno. Il modello Consip, ha notato, assieme a un’indubbia economicità contiene anche il rischio di indurre una concentrazione dell’offerta: potenzialmente poco sana. Resta il fatto che la centralizzazione degli acquisti è stata un’invenzione del Tesoro di Carlo Azeglio Ciampi sotto il governo Prodi 1. E anche ultimamente ha ricevuto l’apprezzamento di un tecnocrate come Carlo Cottarelli, dirigente dell’Fmi e commissario alla spending review nel governo Monti. A quante voci il caso Consip-Renzi ha spento o abbassato la voce.