In politica, si sa, i vuoti non esistono. E se si creano bisogna riempirli, prima che possa farlo qualcun altro. Paolo Gentiloni è politico troppo navigato per non essere conscio di queste regola aurea. Di fronte alla crisi profonda che sta attraversando il renzismo, non ha potuto che fare un passo avanti per occupare lui stesso il centro della scena politica.
Quando è stato chiamato in fretta e furia a guidare il governo forse mai avrebbe pensato di andarsi a sedere nel salotto di “Domenica in” per farsi intervistare a tutto campo da Pippo Baudo. Forse fra lui e Renzi l’accordo era davvero che il suo governo sarebbe durato pochi mesi, che si sarebbe votato al massimo in aprile, e che quindi Gentiloni si sarebbe limitato a portare avanti il lavoro di quell’esecutivo in cui era stato ministro degli Esteri.
Dall’11 dicembre, data della chiamata di Mattarella, tutto però è cambiato. Lo sciame sismico del “big one” referendario ha finito per travolgere il Pd, provocando una scissione, mentre contro Renzi è partito un assalto giudiziario reso ben evidente dalle indagini Consip, che coinvolgono il padre dell’ex premier e il fedelissimo Luca Lotti, oggi ministro dello Sport.
Dal “voto il prima possibile” siamo passati ormai all’orizzonte della fine naturale della legislatura. E’ questa la prima notizia che viene dalla comparsata televisiva del premier pro tempore. Corollario è che questo tempo inaspettatamente dilatato si riempirà di cose da fare. Non solo, quindi, i due vertici internazionali che tanto preoccupavano Mattarella (quello europeo del 25 marzo e quello del G7 del 26 e 27 maggio). Molto di più.
Giovani, occupazione e Mezzogiorno sono le linee direttrici dell’azione di un esecutivo che si prepara ormai a scrivere non soltanto il Documento di economia e finanza (che per legge deve approdare in Parlamento prima dell’estate), ma anche la legge di stabilità, che occuperà l’autunno parlamentare. E questo nonostante si preannuncino scelte dolorose da compiere, visto che l’Europa reclama una stretta da 20 miliardi di euro, che secondo alcuni potrebbero arrivare anche a 30/35. Un deciso cambio di passo, quindi, con l’annuncio di un nuovo taglio delle tasse sul lavoro e la richiesta forte all’Europa di un sostegno alla crescita che passa anche per gli aiuti alle zone terremotate.
Altro merito di Gentiloni è avere saputo svelenire il clima intorno al governo. Lo dimostra — ha spiegato lui stesso — l’approvazione della legge per il Sud senza la fiducia. Ma l’auspicio del premier è che altre materie possano essere sbrogliate senza contrapposizioni frontali, nell’interesse del paese. E tra esse anche la legge sul testamento biologico. Un approccio moderato che segna una differenza abissale con il muro contro muro che ha sempre contraddistinto l’azione di Renzi nei tre anni del suo governo.
Naturalmente le dichiarazioni distensive e concrete da sole non bastano per garantire al governo una vita tranquilla. Intorno all’esecutivo la confusione è massima, a cominciare proprio dal suo Pd, dove è guerra di tutti contro tutti. Dove i bersaniani se ne son andati sbattendo la porta, mentre i tre candidati alle primarie si scambiano accuse pesanti. Dove Emiliano arriva ad accusare Orlando di conflitto d’interessi. E dove non sarà facile serrare le fila per respingere la mozione di sfiducia individuale nei confronti di Lotti. Quello è il punto debole del governo, perché colpire Lotti equivale a colpire Renzi, e a dimostrarlo stanno le voci rapidamente smentite di un possibile rinvio delle primarie, fissate per il 30 aprile.
Le primarie si faranno regolarmente, e lì si misurerà il consenso interno di Renzi, anche sulla base della partecipazione al voto. Al momento il segretario dimissionario è di gran lunga il favorito, e servirebbero notizie clamorose per ribaltare questo pronostico a favore di uno dei suoi due competitor. Poi saranno le amministrative di giugno a misurare lo stato di salute del partito. La seconda parte dell’anno, a questo punto, dovrebbe essere lo spazio di tempo dedicato a cercare le contromisure per non farsi sconfiggere dal Movimento 5 Stelle nelle elezioni che, ormai è più che probabile, finiranno per svolgersi nel febbraio 2018. E se la situazione dovesse precipitare per qualche ragione, giudiziaria e non, Gentiloni sarebbe per il Pd una perfetta carta di riserva da giocare alle elezioni.
Manca, però, ancora certezza sulle regole del gioco, e il dibattito sulla riforma della legge elettorale non decolla. Forse servirà proprio tutta la moral suasion di Gentiloni, facendo gioco di sponda con il Quirinale, per far decollare la discussione che langue in parlamento.