E’ evidente e palpabile il disorientamento rispetto alla situazione italiana e globale, tra crisi, inchieste e riasssetto dei poteri. Perché mancano punti di riferimento e leader credibili, al di là degli slogan. Difficile, quindi, alzare la testa, con pensieri lunghi, che non limitino, cioè, al giorno dopo giorno, fatto di paure, insicurezze, incertezze.



Abbiamo visto cosa ha prodotto il voto democratico, al di là delle previsioni e dei sondaggi.

Limitiamoci alla situazione italiana.

Propongo, in questa occasione, un punto di riferimento esplicito, che va al di là dei programmi dei partiti. Perché la democrazia formale sia anche democrazia sostanziale.

Quel pensiero lungo, legato al cuore della tradizione occidentale, ci dice che sono i cittadini la stella polare. “Il cittadino come arbitro”, come amava ripetere Roberto Ruffilli, lo studioso e politico cattolico ucciso dalle Brigate rosse il 16 aprile 1988.



Se applicato ci aiuterebbe a liberarci dalle tante incrostazioni presenti nelle varie caste e corporazioni del paese, dei tanti privilegi mascherati come diritti. Una liberazione, perché metterebbe al centro non gli interessi, individuali o di gruppo, ma il senso di responsabilità.

Poiché il cittadino, cioè, possa davvero diventare arbitro dovremmo tutti cambiare registro, anzitutto non considerando più lo Stato come il grande Leviatano dal quale solo difendersi (o da “mungere” all’infinito), perché lo Stato siamo noi tutti; ed in seconda battuta convincendoci che i cittadini meritano più fiducia di quella che viene solitamente “concessa”: nello scegliere i rappresentanti politici, nello stabilire la qualità o meno dei servizi pubblici (scuola, sanità, trasporti, ecc.), nel decidere dal basso, secondo una logica sussidiaria, tutto ciò che è vicino al proprio vissuto quotidiano. Vicinanza perciò anche sul piano fiscale, senza più logiche vessatorie.



Gli enti intermedi, gli enti locali, in questi termini, rispetto al crescente centralismo, dovrebbero essere riconsiderati. Ma in una logica di regole e standard condivisi e di verifiche sul campo — il vero vulnus, quest’ultimo, del nostro sistema Paese. 

In questa nuova ottica, dovremmo rileggere assieme i concetti di concorrenza e competizione, non solamente cioè in termini negativi, come noi italiani siamo soliti fare. Questi concetti hanno anzitutto un sapore positivo, perché il confronto produce relazioni, ed è sempre positivo imparare dai più bravi, per migliorarsi e corrispondere alle sempre nuove esigenze ed attese di tutti.

Se le ideologie totalitarie, che hanno reso il novecento “secolo buio”, hanno azzerato la società civile perché solo lo Stato sa, o crede di sapere, il bene dei propri cittadini, in una società aperta come la nostra i cittadini sono meno sciocchi di quel che si pensa, perché hanno tante possibilità di informarsi e possono decidere, in una cornice di poche e chiare norme (e nella “certezza del diritto”, quindi anche della pena), le priorità del vivere sociale e personale. La storia italiana come noi l’abbiamo conosciuta è stata invece la storia di una nazione bloccata dai mille conflitti di interesse, dai mille recinti corporativi.

“Il cittadino come arbitro” diventa oggi la vera ancora di salvezza in un momento rivoluzionario come quello che stiamo vivendo. Antidoto ad ogni forma di statalismo dunque, cioè ad ogni resistenza corporativa, ma anche alle varie forme di narcisismo individualistico, per il recupero della socialità primaria, rappresentata da quei “corpi intermedi”, cioè dalle libere organizzazioni sociali ai Comuni e agli enti locali. 

Non si corre il rischio, questa la maggiore obiezione, di lasciare ai potentati locali la gestione dei rapporti non solo istituzionali? Sì; solo che assegnare agli stessi cittadini la verifica e la scelta dei propri servizi pubblici (su standard nazionali, ripeto, e con verifiche terze) aiuterebbe tutti a quell’etica della responsabilità personale e pubblica che è la risorsa prima di un Paese che non teme il confronto, la trasparenza del proprio operato, la forza positiva del dialogo aperto. Democrazia sostanziale, appunto.