E’ l’ora di Gentiloni. In una lettera al Sole 24 Ore dedicata alla riforma delle popolari Renzi parla esplicitamente dei “12 mesi che ci separano dalla fine della legislatura”. Ora però, secondo Antonio Polito, vicedirettore del Corriere della Sera, il premier deve darsi subito un programma e realizzarlo, “perché il vuoto su cui è nato il suo governo va riempito al più presto”. In ogni caso il voto del 2018 già divide Renzi e Gentiloni. Ecco perché.



Polito, nessuno è colpevole fino alla condanna definitiva. Però un effetto politico il caso Consip lo ha già avuto, non crede?

Ha avuto l’effetto di fornire immagini e simboli a una critica che da tempo veniva rivolta a Renzi e al suo gruppo: il familismo, le relazioni amicali fatte di logiche consortili. 

Simboli in che senso?



L’imprenditore amico del padre (Carlo Russo, ndr) che millanta di poter accedere ai massimi livelli del governo; il fatto che Luigi Marroni abbia detto di aver subìto pressioni da Russo e da Tiziano Renzi, e via dicendo. Tutte immagini che restano impresse nella testa della gente.

Gentiloni ha preso l’iniziativa politica. Ha ringraziato gli italiani per avere sorretto il paese in tempo di crisi; è andato a Domenica in. Infine ha ottenuto da Renzi (nella lettera di ieri al Sole 24 Ore) l’esplicito riconoscimento dei “12 mesi che ci separano dalla fine della legislatura”.



Capisco cosa vuole dire, ma io non credo che Renzi sia stato indebolito politicamente dall’inchiesta Consip. Dal punto di vista del rapporto con l’elettorato del Pd, l’inchiesta lo danneggia nella misura in cui dà la carica a Emiliano in vista delle primarie. Ma dal punto di vista della forza politico-parlamentare per Renzi non è cambiato nulla. Non era in grado di ottenere le elezioni dopo il 4 dicembre, non lo era a gennaio e non lo sarà dopo aver vinto le primarie. Ammesso che vi riesca. 

E Gentiloni?

Ora Gentiloni, come si dice a Napoli, piano piano tira la testa fuori dal sacco. Deve farlo perché il vuoto su cui è nato il suo governo va riempito al più presto con un programma.

Le tappe sono segnate: la “manovrina” da 3,4 miliardi subito, il Def entro il 30 aprile e la legge di bilancio per il 2018 entro il 30  settembre. Ce la farà?

Non credo che ci siano le condizioni per fare cose straordinarie. Il governo si propone di ridurre il peso del cuneo fiscale sul lavoro dipendente e fa bene; al fine di rilanciare un po’ l’economia è certamente un’operazione più utile del bonus da 80 euro, però le disponibilità finanziarie sono ristrette. Il punto è che gli anni di Renzi sono stati quelli della cicala, ma adesso viene la resa dei conti.

Con l’Europa.

Padoan giustamente ha detto che dobbiamo evitare la procedura di infrazione europea non perché siamo tenuti a comportarci bene, ma perché il debito pubblico ci costa in termini di interessi 70 miliardi l’anno. Nonostante in questi anni abbiamo risparmiato tanti miliardi grazie al Quantitative easing della Bce e ai bassi tassi di interesse.

Ma il quadro sta cambiando.

Sì, perché la Fed ha annunciato il rialzo futuro graduale dei tassi e l’inflazione in Europa è arrivata più o meno a quel 2 per cento che la Bce si era data come obiettivo del Qe. Andiamo verso un periodo in cui finanziare il nostro debito ci costerà di più. Se perdessimo credibilità o addirittura rompessimo con l’Europa, lo spread aumenterebbe e pagheremmo tassi ancor più alti. Alla fine il nostro problema non è l’Europa, sono i mercati. 

 

Gentiloni potrebbe riuscire a tagliare le tasse?

Ce la può fare, ma deve trovare un taglio delle spese equivalenti. Un obiettivo che in Italia è stato abbandonato perché si dice che tagliando le spese si aumentano i problemi del Pil. In realtà, con il debito enorme che abbiamo sulle spalle, non ci sono risorse ingenti da utilizzare: l’unico modo di trovarle è trasferirle dalla spesa pubblica al taglio fiscale, rimettendo i soldi nelle tasche di aziende e famiglie. Altre soluzioni non ne vedo.

 

Il problema, a questo punto, è noto. Tagliare la spesa fa venire il mal di pancia a corporazioni e gruppi di potere.

Si può sperare che Gentiloni, essendo meno sottoposto a stimoli elettorali, si senta più libero di agire. Lo vedremo nella legge di bilancio di ottobre: sarà quello il momento della verità tra Renzi e Gentiloni.

 

Perché?

Perché Renzi vorrà avere una legge di bilancio cosiddetta espansiva in chiave elettorale, mentre Gentiloni sarà costretto a fare una manovra più virtuosa. In quel momento si capirà quali sono i rapporti di forza realmente esistenti tra il segretario del Pd e il presidente del Consiglio. 

 

Cosa pensa delle dichiarazioni uscite dal vertice di Versailles tra Merkel, Hollande, Rajoy e Gentiloni? I leader hanno convenuto che serve più integrazione, nello stesso tempo hanno detto che occorre rispettare i ruoli di marcia, “avanzare a ritmi diversi”.

E’ inutile discettare sull’Europa a più velocità, perché la Ue a più velocità è già un dato di fatto. Sono chiacchiere che colmano il tempo che ci separa dal voto francese e da quello tedesco. Tra poche settimane sapremo se la Ue esisterà ancora oppure no. Se vince Marine Le Pen l’Unione è finita e l’euro pure. 

 

E se vince Macron?

Vincerebbe il più europeista di tutti i candidati d’Europa. Questo darebbe una grande mano alla Merkel nel ricostruire un asse franco-tedesco credibile. A quel punto avremmo decisioni e proposte in direzione di un nucleo duro europeo dal quale dovremmo stare bene attenti a non uscire.

 

Poi ci sono le elezioni tedesche. 

Meno pericolose perché o vince nettamente Merkel, o vince nettamente Schulz, o fanno una grande coalizione. In entrambi i casi l’Unione è salva.

 

Macron che cosa offre a Renzi?

Macron dice apertamente di non essere né di sinistra né di destra. Potrebbe rappresentare un’ispirazione per Renzi, che avendo perso alla sua sinistra un pezzo del Pd potrebbe esser tentato di fare un partito più centrista. 

 

Avrebbe più chance oggi di un anno e mezzo fa?

All’interno del partito, sì, se vince le primarie. Nel paese no, perché nel frattempo è cambiato tutto e ora non ha più il consenso che aveva prima.

 

(Federico Ferraù)