L’Opa della Lega Nord di Matteo Salvini sull’elettorato meridionale si è ufficialmente conclusa ieri, con un fallimento. Conta poco che i contestatori napoletani schierati contro il segretario leghista davanti alla sede del quotidiano “Il Mattino” di Napoli fossero pochi anziché tanti. È oggettivo che la speranza della Lega di farsi votare in maniera consistente anche dagli elettori meridionali non risulta pervenuta ai sondaggi.
Ma nel riscontrare questo dato di fatto bisogna dare atto a Salvini di aver comunque fatto un mezzo miracolo, rilevando dall’ultima gestione del Bossi dimezzato un partito in macerie, ridicolizzato dal Cerchio Magico, dal Trota e dalle miserie di una gestione familistica totalmente asservita al berlusconismo declinante.
Su quelle macerie il nuovo segretario ha saputo costruire una ripresa di consensi e di credibilità proponendosi come l’interlocutore italiano di quel vasto movimento di protesta europea contro l’euro e contro l’Unione a guida tedesca che ha oggettivamente messo in ginocchio quasi tutti gli Stati membri. Dove ha esagerato, sbagliando per ambizione o forse per disperazione, è stato quando ha preteso di proporsi come candidato premier del centrodestra, in alternativa a Berlusconi – ammesso che Strasburgo riqualifichi in Cavaliere come eleggibile l’anno venturo – o al futuro designato (?) del Cavaliere.
Chiunque abbia conosciuto un po’ da vicino Salvini, sa perfettamente che non è razzista e non è fascista. Un po’ gioca a farlo, un po’ usa – alla Trump – un frasario che colorisce di rosso-fuoco concetti che poi la Lega, nei tanti enti locali in cui governa, declina con ben maggior responsabilità. Il guaio è anche che la Lega conserva orgogliosamente, all’articolo 1 del suo Statuto, il concetto della “indipendenza della Padania quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”. Una cosa totalmente strampalata e cervellotica anche rispetto alla ben più concreta linea anti-euro, che è di Salvini come della Le Pen, ed è stata vittoriosamente dietro la Brexit propugnata da Nigel Farage. Come dire che quell’articolo statutario è sbagliato per l’Italia ma anche per l’Europa. E da quell’articolo deriva una linea politica fatalmente sgangherata, che a livello locale viene facilmente accantonata rispetto alla concretezza dell’amministrazione territoriale – valorosa, almeno in Veneto e Lombardia -, ma a livello nazionale non perdona.
Col coraggio dell’ambizione, o forse anche qui della disperazione, Salvini ha cercato di acquisire consensi al Carroccio (impensabile!) perfino al Sud, pescando nel torbido dell’unico punto di contatto oggettivo che unisce una certa fascia sociale meridionale a quella simmetrica del Nord: la xenofobia. Gli estremisti leghisti del “fora i nègher” non sono peggiori dei camorristi campani che a Gomorra e dintorni schiavizzano i nigeriani nei campi di pomodori. Ma non è sui matti, né sui gangster che si può fondare una raccolta di consenso, per fortuna. Di qui i fischi, ma soprattutto l’indifferenza del Sud alla proposta politica della Lega.
Anche perché, attenzione: a populista, populista e mezzo. L’inatteso, crescente successo di De Magistris sindaco a Napoli si deve a meccanismi mentali e “narrativi” molto simili a quelli leghisti, sia pure tradotti nel gergo dialettale della pseudosinistra incarnata dal sindaco-Masaniello. E sempre colpa di qualcun altro; noi napoletani siamo “i meglio”, sono i nordici che non ci capiscono perché sono fessi; portateci il lavoro, e non permettetevi di darci dei fannulloni. Eccetera. Ma allora, se i meridionali hanno i populisti a portata di mano, in formato domestico, perché mai dovrebbero votare Salvini? “Bossi mi dice: ‘che vai a fare a Napoli?’ Ma casa mia è anche qui”, ha spiegato il segretario leghista ai colleghi giornalisti del Mattino. E invece l’interrogativo del fondatore della Lega la sua sostanza ce l’ha.
E infine, vogliamo riandare con la memoria a qualche anno fa? Per esempio al 2009, quando alla festa di Pontida Salvini cantava: “Senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”. Oppure affermava che i meridionali “sono troppo distanti dalla nostra impostazione culturale, dallo stile di vita e dalla mentalità del Nord. Non abbiamo nessuna cosa in comune. Siamo lontani anni luce”. E ancora quando rilevava che “al di là di tutto, sono bellissimi i paesaggi al Sud, il problema è la gente che ci abita. Sono così, loro ce l’hanno proprio dentro il culto di non fare un cazzo dalla mattina alla sera, mentre noi siamo abituati a lavorare dalla mattina alla sera e ci tira un po’ il culo”.
Ecco: con simili premesse, andare a cercare voti al Sud è stato per Salvini sicuramente segno di coraggio, ma ancora una volta bisogna chiedersi: di quale coraggio, se non di quello della disperazione?