Non si capisce bene se stia incominciando la “terza repubblica” e sia finita la cosiddetta “seconda”. Restiamo fermi nella convinzione che la nuova repubblica, rispetto alla prima, resta sempre l’araba fenice: “tutti sanno dov’è ma nessun lo dice”. Lo scenario della crisi internazionale è una cornice preoccupante, ma in un angolo della tela del quadro c’è un piccolo dettaglio di quello che si può definire il precipitato della lunga crisi italiana.
Il governo non fa molto notizia, se non per le gaffes del ministro del Lavoro, l’impareggiabile Giuliano Poletti, oppure per le scopiazzature, a quanto si dice, dell’altra impareggiabile ministra alla Pubblica amministrazione, l’eterea Marianna Madia.
Intanto Gentiloni, Padoan e Calenda si affannano intorno alla quadratura dei conti e adesso anche con i dazi che arrivano dall’antipatica e spiacevole America di Donald Trump. Della legge elettorale si parla ogni tanto, giusto per non dimenticarsene. E l’inversione di tendenza, in campo economico, resta sempre una scommessa che vincono tutti, perché in realtà non vince nessuno.
Per comprendere come è stata condotta l’economia italiana, basta recuperare un vecchio articolo sul New York Times del premio Nobel per l’economia (2008) Paul Krugman, che definiva la “dottrina” dei nostri dioscuri della nuova sinistra (stampata in un libro del 2007: “Il liberismo è di sinistra”) in modo piuttosto irriverente: “La notte degli Alesina viventi”.
Naturalmente questo giudizio è stato “propagandato al contrario”, nel più assordante silenzio, da Monti a Mieli, dalla Gruber fino a tutti i nostri esperti. Ma si sa, Krugman ha un difetto: è un keynesiano, un autentico riformista americano e quindi potrebbe creare dei rimpianti verso un Lord. E l’Italia è popolare, non populista. Accipicchia!
Chissà se questi giudizi rimbalzano nel dibattito all’interno dei circoli del Pd, dove Matteo Renzi sta stravincendo una partita interna, senza storia e senza fare grande notizia, ma preparandosi a un ritorno sul palcoscenico politico come primo attore. Restano comunque senza risposta, sinora, molte domande in questo dibattito aereo: che cosa è una sinistra moderna? Quali ceti sociali deve rappresentare? Come può ricreare le basi per produrre una ricchezza diffusa eliminando le sperequazioni attuali, indegne di una società civile?
Il mistero avvolge il dibattito, sia dalla parte cosiddetta neoriformista, sia dalla parte ancora aggrappata a “Bandiera rossa” in salsa sedicente riformista. In realtà c’è un groviglio catto-comunista, tipicamente italianista, che non sa più dove sbattere la testa.
Ed è tutto questo retroscena, che continua a durare con una costanza implacabile, che provoca il “nocciolo duro”, il cuore della crisi italiana: l’ascesa implacabile, nonostante tutto, dei 5 Stelle di Beppe Grillo e l’impianto culturale giustizialista che continua ad affermarsi nel tempo. Nel paese di Niccolò Machiavelli, che separò la morale dalla politica, si parla solo di politica etica.
In questo clima culturale il partito del comico ha superato il 30 per cento nei sondaggi e ha un vantaggio di oltre cinque punti sul Pd. Si vedrà. Ma intanto occorre dire che non deflette, non retrocede nel consenso degli italiani anche dopo il caso Pizzarotti e gli “sfondoni” della sindaca romana Virginia Raggi.
In questi giorni, il partito della cosiddetta democrazia diretta è impegnato, tanto per cambiare, in una rissa interna a Genova con la signora Marika Cassimatis. Donna dal piglio risoluto e con un nome quasi esotico, la Cassimatis partecipa alla scelta online dei candidati a sindaco del Comune di Genova del M5s e vince, ma poi viene diffidata da Beppe Grillo in persona. La Cassimatis ovviamente obbietta e si incazza pure, insieme al suo gruppo, ma intervengono anche i “re del congiuntivo”, Di Maio e Di Battista. Scenate da ballatoio, si diceva un tempo e tutto finisce in procura, con Grillo e Di Battista indagati per diffamazione. Uno spettacolo desolante in vista delle prossime elezioni comunali di Genova.
In questo grande dibattito politico, in tutti i casi, il partito del comico resta per molti l’ultima risorsa, neanche si dovesse toccare il fondo, sperando poi di risalire. Fatto che sconsigliava Leonardo Sciascia, assertore del fatto che “dopo aver toccato il fondo, si può scendere ancora più in basso”.
In realtà, la portata della crisi italiana, anche se occupa uno spazio limitato nel quadro internazionale, è l’intreccio di tre fattori: la crisi quasi irreversibile di questa sinistra italiana, che non si è mai rinnovata veramente, dopo la grande svolta del 1989-1992; l’affermarsi di un diffuso pensiero giustizialista dettato da interessi economici stranieri e da ex poteri forti italiani, che hanno dequalificato la politica, lasciando spazio a un potere giudiziario che avrebbe dovuto essere riformato con la stessa Costituzione da almeno trent’anni; infine la crisi economica devastante, che è arrivata con partiti incapaci di risolvere i problemi e con l’affermazione, almeno in Italia, nemmeno di un “populista”, ma di un autentico comico e di molti improvvisatori, che vanno dai “lunari” de Il Fatto Quotidiano fino alle aspirazioni di singoli apprendisti stregoni dell’economia, della finanza e dell’editoria, almeno di quella che rimane.
E’ un cocktail micidiale che può stroncare un organismo e in dosi massicce una società, anche con grandi tradizioni come quella italiana.
Che l’avventura, la disgregazione, l’improvvisazione e la non governabilità siano così vicine è avvertito persino dai pentastellati, che hanno dichiarato di chiamare, in un ipotetico loro governo, alcune personalità che non siano del “movimento”. Possono essere magistrati, o ex magistrati? Piercamillo Davigo, che lascia il suo posto di presidente dell’Associazione nazionale magistrati, consiglia ai suoi colleghi di non entrare mai in politica, per una scelta etica personale. Ma il ruolo che ha assunto ormai la magistratura in Italia, la profonda disillusione degli italiani e la speranza riposta nel Movimento 5 Stelle al posto dei “politici corrotti” è una “piattaforma” che può portare a una sorta di repubblica giustizialista, dove non si risolve nulla e si dissolve qualsiasi riforma autenticamente democratica dello Stato, del Paese e dei possibili partiti che sono sempre indispensabili.
Quel “buotempone” del senatore a vita Mario Monti dice spesso che “arriverà la tempesta”. Ma lui pensa sempre soprattutto allo spread piuttosto che a una rinnovata democrazia. Forse non si rende ancora conto che ormai, in Italia, un de Magistris non si nega a nessuno.
Quando scoppiano risse sul caso Cassimatis, di che cosa ci si può ormai stupire? “La democrazia ha uno stomaco di ferro”, dicevano i nostri grandi vecchi che hanno riscattato l’Italia dal fascismo. Ma qualche volta, anche i succhi gastrici si arrendono.