Con la Convenzione nazionale dei delegati si è chiusa ieri a Roma la seconda tappa dell’iter congressuale del Pd. È stato un appuntamento notarile dove sono state rese legittime le candidature per le primarie dalle quali uscirà il nuovo segretario del partito. Se questo segretario diventerà pure il candidato premier nella prossima tornata elettorale è tutto da vedere. In una sorta di automatismo programmato, la vittoria di Renzi confermerebbe questo indirizzo, ma nulla può essere dato per scontato né sul risultato delle primarie, né su eventuali trattative che dovessero instaurarsi a fronte di coalizioni o larghe intese che dir si voglia.



“Un po’ di scaramanzia come a calcio ci vuole sempre”, ha detto un delegato di Imola presente alla Convenzione. È un po’ come alle partite di calcio, “bisogna arrivare al 90simo minuto, o alla fine dei supplementari”. E i supplementari nella giornata romana di sole radioso hanno fatto capolino quando dalla componente di Emiliano è stato lanciato, prima del fischio d’inizio dei lavori, “il ballon d’essai” del rinvio delle primarie. Sulla questio da impedimento fisico di Emiliano, Orlando ha dato la sua disponibilità, almeno fino all’arrivo di Guerini con il suo no, data la scarsa possibilità di fermare la macchina organizzativa lanciata verso il terzo traguardo: le primarie del 30 aprile. È curioso notare che tutto ciò si è consumato sotto i portici dell’Ergife, hotel prescelto per la Convenzione, e non al suo interno in modo ufficiale con una mozione diretta alla presidenza. 



Infatti, i lavori della Convenzione, dopo l’inno nazionale in apertura, si sono esauriti con il benvenuto e l’introduzione del presidente e con le mozioni dei tre candidati: due dal vivo, Orlando e Renzi, e una in video, quella di Emiliano. Nell’ordine quest’ultima e quella di Orlando hanno avuto un perno: non archiviare il No del 4 dicembre, ma leggerlo come la risposta di una parte del Paese alla linea tenuta da Renzi. Per Emiliano questa è stata deficitaria nel raccordo con il nerbo istituzionale locale del Pd sul territorio. Sindaci e governatori inascoltati dall’uomo solo al potere è quanto Emiliano vorrebbe capovolgere. Parola d’ordine: coinvolgimento e collegialità nell’elaborazione di linea politica e di programma. Cosi, analogamente, Orlando ha additato, citando Aldo Moro, il suo obiettivo di recuperare attraverso l’ascolto e il confronto un altro distacco testimoniato dall’allontanamento di una vasta area sociale che si riconosceva tradizionalmente nel Pd. Questa area, ha sostenuto Orlando, si è ritrovata privata di riferimenti fondanti del partito stesso dai quali ha fatto emergere la sua parola d’ordine che è uguaglianza.



Mentre Emiliano ha accentuato il carattere pregnante dell’essere forti localmente come partito di riferimento, Orlando, invece, ha aggiunto la necessità glocal dell’Europa e dell’impegno che richiede. Se entrambi hanno ribadito il loro orgoglio di appartenere al Pd chiamato a essere forza politica di progetto e di governo, Orlando ha riconosciuto, oltre a qualche errore importante fatto da Renzi, i risultati del precedente governo sul quale si è innestato l’attuale di Paolo Gentiloni (applauditissimo al suo arrivo dall’intera platea).

Renzi, quando ha preso la parola, come solo lui è capace di fare, andando come un treno in corsa forte della locomotiva di oltre il 62% degli iscritti, ha capovolto il “J’accuse” dal tono moderato, ma fermo di Orlando dandogli ragione. Si è trattata, infatti, di una ragione inversa perché la distanza, che ha mostrato segni di frattura con le aree sociali citate da Orlando non è venuta “dall’aver lasciato indietro”. Ma è venuta da quella parte del Paese che già era avanti e in attesa di risposte mentre il Pd si logorava all’interno con un dibattito sterile tra chi era favorevole a sparare al pianista e chi no. Renzi ha citato risultati e sfide ponendo i confini dell’Italia ben saldi in Europa, tanto per tradizione ideale quanto per storia passata e necessità di storia futura.

Per questo ha additato un Pd come partito di responsabilità e stabilità nella consapevolezza della sua tradizione. E proprio in nome di questa tradizione ha risottolineato la sfida a far evolvere il Pse come adeguata forza propulsiva, avendo perso sotto il peso e l’adagiamento burocratico ed eurocratico la spinta che sarebbe in grado di dare.

Per concludere una nota di colore e… di merito a Maria Elena Boschi che si è prestata sorridente, anche quando provata, a decine e decine di selfie per le photogallery di un centinaio di delegati entusiasti. La parola ora passa da aprile a maggio quando si suol dire che “se son rose fioriranno” per questo Pd, non esente da spine e da rami staccati.