Con il closing della trattativa italo-cinese, termina l’era del Biscione a Milanello. Berlusconi lascia tra fasti, trofei e tante soddisfazioni. Ma sbaglierebbe chi pensasse che un tale passo indietro possa verificarsi, a breve, anche in politica. Anzi.

I bene informati come Enrico Mentana, sulla base dei sondaggi che assegnano a Forza italia un costante trend di crescita (oggi FI appare aver superato nuovamente la Lega di Salvini) — pronosticano l’opposto. E c’è da credergli.



A differenza del Milan, che brilla di una storia ante-Cavaliere, Forza Italia era, è e sarà solo Silvio Berlusconi. Continuare ad immaginare un Cavaliere in panchina o continuare a discutere su chi potrà ereditare il suo scettro, appare solo un esercizio di pura accademia politico-giornalistica senza alcun fondamento reale. Forza Italia ha un unico indirizzo: Arcore. Ed un’unica grande anima: l’ex premier.



In principio doveva essere Montezemolo, poi Alfano, quindi Passera, successivamente Toti, in seguito Parisi, oggi (ma già ieri, in realtà) Cairo. Tutti scoop, rivelazioni, veline finite, immancabilmente, nella polvere della realtà politica.

Forza Italia non è il Milan e neppure Mediaset che, seppur nata dal fiuto imprenditoriale dell’uomo di Arcore, si è aperta da anni all’azionariato e non potrà che rispondere alle dinamiche e alle regole del mercato. Forza Italia è la storia di una leadership e insieme la scommessa personale di Berlusconi.

Altro paio di maniche è la premiership: il candidato presidente del Consiglio di una eventuale coalizione moderata. Per quella poltrona, al di là del pronunciamento della Corte europea, Berlusconi — da raffinato interprete della “pancia” degli italiani — sa di non avere chance (anche se la tentazione rimane molta, per un purosangue come lui).



Per quella poltrona, che è la vera eredità contendibile a Berlusconi, l’ipotesi Cairo appare assai più complessa dell’ipotesi Calenda. Il neo presidente di Rcs, infatti, oltre ad essere assai ingombrante per la politica, ha interessi diffusi e consistenti in campi assai delicati e strategici da consigliare una esposizione meditata.

Discorso diametralmente opposto può essere fatto per l’attuale ministro allo Sviluppo economico, che, seppur giovane, negli anni ha dato prova di capacità, accortezza e affidabilità pur marcando alcune significative differenze con l’ex sindaco di Firenze. Sia sul piano economico (perplessità sui provvedimenti-spot come gli 80 euro o il bonus giovani) che, più recentemente, sul piano più squisitamente politico (il no —motivato — ad elezioni anticipate).

Non certamente una presa di distanza né dal governo Renzi, di cui Calenda è stato ministro, né, tantomeno, dal governo Gentiloni, quanto, piuttosto, un modo per marcare il territorio in vista di un prossimo, probabilissimo (a detta di tutti gli istituti demoscopici) governo di coalizione (dal Pd a FI passando per i centristi di Casini ed Alfano) che lo potrebbe vedere apprezzato leader.

Per il momento Calenda si è limitato a protocollare la domanda di partecipazione ad una selezione futura (ma non troppo lontana) con alcuni indicativi allegati che ad Arcore non sono sfuggiti; come il decreto anti-scorrerie dalla fragrante essence Mediaset-Vivendi. Se son rose… eccetera.