Una bozza dopo l’altra, senza fretta, la manovrina imposta da Bruxelles si avvia verso l’approvazione. Tre miliardi e 400 milioni, un modesto antipasto di quello che ci aspetta in autunno. Si tratta di una bomba a orologeria sotto la politica italiana, cifre importanti, che variano nelle valutazioni da 20 sino a 40 miliardi di euro. Cifre che costringeranno a una stangata da cui è inevitabile derivi impopolarità per chi sarà chiamata a gestirla.



E’ la manovra d’autunno il convitato di pietra della politica italiana, la variabile impazzita che potrebbe influire non poco in un percorso altrimenti già piuttosto definito, con l’approvazione di una modestissima riforma della legislazione elettorale dopo l’estate e il voto nei primissimi mesi del 2018, alla scadenza naturale della legislatura.



Due sono le strategie che si confrontano: quella di Renzi e quella di Gentiloni. Sinora il leader del Pd ha morso il freno, in attesa della riconferma attraverso le primarie del 30 aprile. Ha imposto però una strategia di allungamento dei tempi nella risposta all’Europa che Gentiloni e Padoan non hanno potuto che seguire. Rinviare le scelte più dolorose, in attesa che il quadro intorno si faccia più chiaro. Peserà in qualche misura l’esito delle elezioni francesi, ma certo ancor di più quello delle amministrative di giugno, per capire se la marea grillina può essere arginata, oppure no. 



Che si tratti di una sfida implicita all’Europa a Renzi poco importa. Ha voluto che nel Def venisse indicato il deficit per il 2018 non all’1,2 per cento, ma all’1,8. E vuole che a Bruxelles si faccia ogni sforzo possibile per ottenere più flessibilità. L’approccio del premier e del ministro dell’Economia sarebbe assai più cauto, andare cioè in direzione dell’accoglimento degli input di Bruxelles, anche se cercando di limitare gli effetti più pesanti.

Il braccio di ferro silenzioso e sotterraneo che da settimane ormai si svolge tra il Nazareno da una parte e dall’altra Palazzo Chigi e Via XX Settembre è destinato a durare per tutta l’estate, e potrebbe portare alla fine a una clamorosa rottura degli equilibri e a elezioni in autunno. Uno scenario che potrebbe concretizzarsi nel caso di un irrigidimento delle istituzioni europee. Nel palazzi comunitari, però, pur in mezzo ai falchi va per la maggiore una corrente di pensiero cauta, che non vuole apparire responsabile di aver consegnato l’Italia ai 5 Stelle. Il rischio Le Pen in Francia basta e avanza. Quindi si farà di tutto per andare incontro alle esigenze italiane. Di tutto che però non significa affatto consentire tutto: il governo di Roma dovrà comunque dare prova concreta di buona volontà.

Ma se Renzi dovesse giudicare eccessivo il prezzo da pagare, potrebbe precipitare il paese verso le urne, anche a costo di condannarlo all’esercizio provvisorio, spostando a dopo il voto la definizione della manovra 2018. Questo rischio, che qualche tempo fa sembrava scongiurato, sembra tornare prepotentemente di attualità.

La complessa partita economica in corso fra Roma e Bruxelles è destinata poi a intersecarsi con le difficoltà della politica di casa nostra. La riorganizzazione del Pd, anzitutto, con la tensione che cresce all’avvicinarsi del congresso, e le minoranze di Orlando ed Emiliano che pressano Renzi, tanto sull’economia, quanto sulla legge elettorale. Qui il pallino è tutto nelle mani del leader che va verso la trionfale riconferma. Starà a lui decidere se maramaldeggiare, oppure se dimostrarsi inclusivo, assorbendo qualcuna delle critiche dei suoi avversari interni. 

Politicamente decisiva sarà la definizione delle regole con cui si giocherà la prossima partita elettorale. Non è infatti cosa da poco sapere se i capilista saranno bloccati o no, e se vi sarà un incentivo o meno a costituire coalizioni. Su entrambi i punti Renzi è parso possibilista in modo sorprendente, rispetto a un recente passato di posizioni rigide. L’onere della scelta di fondo però tocca sostanzialmente a lui, visto il peso parlamentare del Pd. Solo insistendo sul Mattarellum non troverà alleati. Il premio alla coalizione piace a Berlusconi e al centrodestra, i capilista non automaticamente eletti ai centristi. 

Alfano e i suoi attendono risposte, o meglio meccanismi elettorali che li aiutino a non sparire, magari aprendo la strada all’alleanza con i democratici. Se così non sarà la manovra d’autunno sarà un calvario, perché i centristi faranno di tutto per vendere cara la pelle. Ma ogni mossa verso gli alfaniani potrebbe allontanare gli scissionisti di Mdp. Renzi, insomma, arbitro della situazione, ma con i rischio con le sue scelte di condannare il Pd all’isolamento e alla sconfitta, e l’intero paese all’ingovernabilità post elettorale.