Il giorno dopo il risultato definitivo del referendum in Turchia le polemiche a livello internazionali sono tutt’altro che spente: una bufera sulla vittoria del Sì per il 51% con denunce dell’opposizioni di brogli profondi in larga parte del Paese per poter far vincere la fazione legata al presidente Erdogan che da oggi viene investito da un surplus incredibile di potere e costituisce una repubblica completamente “presidenziale”. Scende in campo l’Osce-Odihr che tuona in tutta Europa la denuncia: «il referendum costituzionale in Turchia è stato condotto in condizioni di disparità e le modifiche procedurali decise all’ultimo minuto hanno “rimosso importanti salvaguardie». Il messaggio dell’ente internazionale specie sulla vicenda scandalosa delle schede non timbrate e contate comunque riporta come lo scneairo provocato dalla commissione elettorale, «ha minato le garanzie contro le frodi». Sul voto irregolare Erdogan non commenta e anzi rilancia sulla piena vittoria del proprio referendum: «per vincere ho combattuto contro le nazioni più potenti al mondo che mi hanno attaccato con una mentalità da crociati», ha commentato il presidente salutando la folla che lo ha accolto all’aeroporto di Ankara. (agg. d Niccolò Magnani)
I risultati del referendum in Turchia, quando è stato scrutinato il 99,96% dei voti, parla di una vittoria di misura dei Sì alla riforma presidenzialista voluta dal capo dello Stato Erdogan. Con il 51,22% contro il 48,77% dei No il referendum è passato, ma sono in tanti, vedendo le percentuali di voto così vicine, a parlare di una vittoria a metà dei filo-governativi. Come riportato dal Corriere.it, è stato lo stesso Erdogan, intervenendo da Ankara, a mantenere un profilo più basso rispetto alle attese parlando di “risultati non ufficiali” e di una vittoria per “un milione e trecentomila voti”. Non sembra essere un caso che Erdogan abbia lanciato un appello all’unità della nazione, rivolgendosi “a chi ha votato sì ma anche a chi ha votato no”, invitando gli altri capi di stato a rispettare il risultato elettorale. Più entusiasta il premier Binali Yildirim che, presentandosi al pubblico con una sciarpa con i colori della Turchia, ha esultato:”Siamo fratelli, siamo una nazione, grazie al nostro popolo. Voglio ringraziarvi. Grazie per i voti all’estero, grazie all’Mhp, al Bbp, grazie ad Erdogan. Questi risultati sono la nostra corona. Non ci sono perdenti, solo un vincitore: la Turchia. Ora guardiamo avanti e sconfiggiamo il terrorismo”. (aggiornamento di Dario D’Angelo)
Vittoria sul filo di lana per Recep Tayyip Erdogan: il Sì alle riforme della Costituzione ha ottenuto il 51,3% dei consensi, contro il 48,7% dei No. Questo vantaggio gli permette di cambiare il Paese, visto che gli assegneranno tutti i poteri. Insorge, però, l’opposizione, secondo cui molti voti non sarebbero validi: parla apertamente di brogli, perché in molti certificati elettorali non ci sarebbe il timbro ufficiale. «Il Consiglio elettorale supremo ha cambiato le regole del voto, questo significa permettere brogli creando un serio problema di legittimità», ha dichiarato Bulent Tezcan, vice leader del principale partito dell’opposizione. Il presidente turco è però già pronto ad un nuovo referendum, quello per decidere sulla permanenza di Ankara come Paese candidato all’Unione europea. Scioccante è, invece, l’altro a cui sta pensando: quello sulla reintroduzione della pena di morte, misura eliminata nel 2004 proprio per l’auspicato ingresso in Europa della Turchia.
Il risultato del referendum costituzionale della Turchia mette in gioco molto del futuro dell’Europa. La Turchia, paese membro della Nato e in predicato di entrare a far parte dell’Unione Europea (anche se soprattutto dopo le politiche repressive degli ultimi anni), ha assunto dopo la caduta di Gheddafi e dopo la comparsa dello stato islamico, un ruolo sempre più centrale per gli europei come “barriera” per il controllo dei migranti. Se aggiungiamo che il maggior partner commerciale della Turchia sono i paesi dell’Unione e che la frontiera con la Siria è una sorta di membrana che regola il flusso di foreign fighters da e verso Daesh, si capisce che una concentrazione totale di poteri nella figura del presidente (che nello specifico sarebbe Erdogan) pone una serie di incognite e di variabili di cui l’Europa non può non tenere conto. La cifra dell’imponenza del fenomeno Erdogan (ora che la costituzione ne limita i poteri) parlano chiaro: dal tentato golpe ci sono stati circa 48 mila arresti e più di 100 mila licenziamenti, per non parlare del trattamento riservato a giornali e giornalisti anche stranieri (come il nostro Gabriele Del Grande). Se – come sembra dai primi exit polls – vinceranno i ‘sì’, a quel punto il presidente (anche se non è chiaro se si debba prima passare da nuove elezioni) avrà potere di nominare ministri, governi, giudici della corte suprema e sciogliere il parlamento. Parlamento che – nel contempo – perderebbe il potere di sfiduciare il governo e potrebbe solo in linea teorica chiedere l’impeachment del Presidente (che però rimane a capo del proprio partito potendo quindi nominare i parlamentari, che quindi non chiederanno la messa in stato d’accusa presumibilmente, e avendo nominato i giudici dell’alta corte si assicurerebbe un verdetto favorevole). Insomma i timori di chi – europeo o della minoranza curda – vede nell’esito positivo del referendum una deriva autoritaria non sembra proprio avere tutti i torti. Mentre scriviamo arrivano i dati scrutinati e si sta delineando un vero testa a testa con il ‘sì’ che si attesta al 52,7% e i ‘No’ al 47,26%. Manca ancora il voto dei turchi all’estero. L’esito, al 90% di schede scrutinate non è ancora certo al 100%. Quel che è sicuro è che questa riforma ha spaccato in due la Turchia.