Se non fosse trapelata direttamente dall’inner circle renziano, ci sarebbe da dare retta alle smentite di circostanza. Invece, la voce che Renzi sia tornato ad accarezzare l’idea di elezioni in autunno, è qualcosa più di una boutade. Pare che l’ex premier sia ringalluzzito dall’ottimo andamento delle votazioni nei circoli del Pd, dove la sua mozione veleggia intorno al 60 per cento, facendogli pregustare una trionfale incoronazione alle primarie del 30 aprile.



E questa nuova legittimazione Renzi potrebbe decidere di spenderla per evitare di pagare il prezzo politico della manovra economica lacrime e sangue che — ormai è chiaro — da Bruxelles verrà imposta all’Italia. La data cerchiata sull’agenda di Renzi è il 19 novembre, che consentirebbe di rinviare a dopo il voto la manovra, anche se rimarrebbero appena una ventina di giorni (lavorando anche a Natale e Santo Stefano) per approvarla facendo fare gli straordinari al parlamento. Tutto deve essere finito entro fine anno, per evitare al paese l’onta di un esercizio provvisorio. L’ultima volta fu nel 1987, premier lo sfortunato Giovanni Goria.



Non è dato sapere se Renzi sia conscio dell’azzardo a più facce che corre lui, ma soprattutto che fa correre al paese. Se qualcosa nel suo piano dovesse andare storto, e le elezioni slittare a primavera 2018, com’è naturale lui passerebbe per sfascista, e contribuirebbe a consegnare il paese ai 5 Stelle. Ma anche quand’anche dovesse riuscire a ottenere le elezioni anticipate, potrebbe non vincerle. E allora tutta questa fatica si rivelerebbe inutile.

In questo suo accarezzare un’accelerazione autunnale, del resto, Renzi è sempre più solo: non ha dalla sua parte né il Quirinale, né la totalità del suo partito. E ha come oppositori aperti Forza Italia e i fuoriusciti del suo partito, gli uomini di Bersani, D’Alema e Speranza. Soprattutto se si incamminerà su questa strada, dividerà la propria da quella del premier pro tempore, Gentiloni. 



A Cernobbio, al forum di Confcommercio, il presidente del Consiglio in carica ha parlato da uomo di stato che è ben conscio della delicatezza del momento. Ha cercato di rassicurare gli imprenditori del terziario che si andrà in direzione della riduzione delle tasse su famiglie e imprese, e che i terremotati non saranno dimenticati. “Vaste programme”, avrebbe commentato il generale De Gaulle. Al netto delle difficoltà del braccio di ferro prossimo venturo con l’Unione Europea, Gentiloni non è apparso affatto il capo di un governo balneare, quanto colui che è intenzionato a scrivere la prossima legge di bilancio. Insomma, mai così distante da Renzi.

All’ex premier, all’indomani della riconferma al vertice del Pd, non rimarrà altro che trovare una ragione per staccare la spina al governo, se davvero vorrà correre verso il voto. Circola l’ipotesi che il pretesto sia facilmente reperibile intorno alla legge elettorale. Il dibattito per allineare i due monconi di Porcellum (al Senato) e di Italicum (alla Camera) sopravvissuti agli strali della Corte Costituzionale langue. E nulla sembra destinato a muoversi sino a metà maggio, sino a dopo il congresso del Pd. Al momento la posizione di Renzi è il ritorno al Mattarellum, che non piace a nessun partito, e non trova il consenso neppure di tutti i democratici. Sembra un irrigidimento funzionale a farsi dire no, e a correre verso il voto con pochissimi correttivi (il minimo di quanto sollecitato dal Quirinale), dopo aver certificato (magari con un ordine del giorno respinto in parlamento) l’impossibilità di una riforma corposa. Un voto che potrebbe esserci prima dell’estate.

Dicono, al contrario, i franceschiniani che la riforma si farà, ma non prima dell’autunno. In mezzo poi ci sono anche le amministrative, che — se dovessero andar male — impedirebbero il decollo del piano di un Renzi appena rieletto. In più, la tattica di tirarla per le lunghe sembra fatta apposta per rallentarne l’impeto, venendo incontro anche alle preoccupazioni espresse più volte, in pubblico e in privato, dal presidente Mattarella, cui Dario da Ferrara è considerato sempre molto vicino. Del resto, è proprio il ministro della Cultura l’elemento decisivo delle maggioranze in casa democratica. E in modo emblematico a Cernobbio camminava appena un passo dietro a Gentiloni.

Sul colle più alto della politica la moral suasion è attivata da tempo per evitare il ricorso anticipato alle urne, arrivando nel contempo a una soluzione quantomeno decente per la legge elettorale. Un punto viene fatto rilevare a tutti gli interlocutori: se dal 1946 a oggi non si è mai andati al voto politico in autunno una ragione ci sarà. Si chiama esercizio provvisorio del bilancio da evitare. Interrompere questa tradizione virtuosa sarebbe un errore che potrebbe ripercuotersi contro chi ne fosse il responsabile. Renzi, insomma, è avvertito.