Nella vicenda del ridimensionamento dei poteri dell’Autorità Nazionale Anti-Corruzione è difficile separare i profili giuridico-istituzionali da quelli politici e personali. Palazzo Chigi, ieri sera, ha provato a stemperare le polemiche subito divampate su un’apparente svista tecnica nella riforma del Codice degli appalti. Ma un Consiglio dei ministri difficilmente approva una semplice svista: tanto più se la cancellazione di un potere d’intervento preventivo dell’Anac rispetto alla magistratura è andata a toccare un’interfaccia strutturale estremamente sensibile nell’architettura dei poteri dello Stato.



L’Anac non è mai stata un’authority come le altre. Banca d’Italia, Consob, Antitrust, Agcom, Autorità per l’Energia, perfino l’Authority sulla Privacy sono entità indipendenti di vigilanza su ambiti ben identificati dell’economia di mercato e operano senza sovrapposizioni problematiche rispetto al potere giudiziario. L’Autorità affidata finora al magistrato Raffaele Cantone, invece, non è una magistratura ma nei fatti il suo compito si è ritrovato a essere concorrente con quello delle Procure, nonché molto interferente con le dinamiche della democrazia politica. Ed è forse a causa di questa evanescenza istituzionale che Cantone si è spinto a interpretare il ruolo di “sceriffo anti-corruzione” con forte proiezione mediatica: cosa che sicuramente gli ha alienato molte simpatie fra gli ex colleghi magistrati. Né gli ha giovato la provenienza personale dal “fronte di Gomorra”, né soprattutto la quasi-simbiosi (oggettivamente politica) con il premier Matteo Renzi. 



Non stupisce, quindi, che il “ridimensionamento” dell’Anac prenda forma quando Renzi non è più a Palazzo Chigi e quando invece un’inchiesta sulla Consip (la centrale degli appalti dello Stato) ha oggettivamente coinvolto non solo il padre di Renzi, ma anche il fratello di Cantone, legale dell’imprenditore Alfredo Romeo. E non è per coincidenza se, in queste ore, il cuore “togato” del Csm sta facendo muro contro il pressing di Renzi sui presunti conflitti fra le Procure di Napoli e Roma nelle indagini Consip. I magistrati “veri” non possono accettare alcun vincolo di legittimazione politica sulle “vere” inchieste sulla legalità degli appalti pubblici: né affiancamenti “grigi” da parte di “autorità indipendenti”, soprattutto se rette da (ex) magistrati. Tanto meno in una fase in cui il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, è sfidante di Renzi alle primarie del Pd e l’altro sfidante è il magistrato in aspettativa Michele Emiliano.   



Esemplare comunque, nelle riflessioni sul passaggio Anac, il caso dell’Expo di Milano: cui Cantone si è affannato a rilasciare piena patente di legalità quando Milano 2015 è divenuta “proprietà politica” di Renzi. Nel frattempo l’attività investigativa della Procura sugli appalti Expo — di fatto congelata dall’Anac durante la manifestazione — è divenuta carburante di violenti scontri interni alla Procura di Milano, poi faticosamente riassorbiti dal passaggio delle consegne fra Edmondo Bruti Liberati e Francesco Greco nell’ufficio di procuratore capo. 

Nei giorni scorsi il Csm ha avviato le procedure di bando per il ruolo di responsabile della Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura meneghina: incarico finora ricoperto, come “aggiunto” di Bruti Liberati e poi di Greco, da Ilda Boccassini. Il gossip sta già citando alcune possibili candidature, ma riferisce soprattutto una posizione di metodo da parte di Greco: la “lotta alla mafia” a Milano (al Nord) ha bisogno di magistrati esperti in criminalità finanziaria internazionale. Cioè: non ha bisogno di “commissari Montalbano”, di inquirenti eternamente “in trincea” a Gomorra e dintorni. Ha bisogno — par di capire — di magistrati cresciuti dentro il Palazzo di Giustizia di Milano o dintorni. Non ha bisogno di magistrati come Cantone. E dove c’è una magistratura funzionante non c’è bisogno di non meglio definite “autorità indipendenti”.