Comunità ebraica contro Anpi, che invita in piazza i palestinesi; il Pd che non ci sta, i fuoriusciti di Articolo 1 che fanno polemica col Pd, e la Raggi in mezzo, insieme alla festa della Liberazione. Si direbbe una vendetta della storia; non tanto verso chi non la conosce, dato che si può sempre studiare. Piuttosto, verso chi vorrebbe tirarla dalla sua parte, usandola per far politica. A dividere, come sempre, è il 25 aprile. A Roma se ne dividono le spoglie la sezione locale dell’Associazione nazionale partigiani italiani e la Comunità ebraica. Quest’ultima accusa l’Anpi di ospitare la comunità palestinese romana (“gli eredi del Gran Mufti di Gerusalemme che si alleò con Hitler”) e di conseguenza organizza una propria manifestazione: “Come italiana e come romana non mi sento più rappresentata dall’Anpi che nega l’importanza del contributo degli ebrei romani e delle Brigata ebraica alla lotta di liberazione dal nazifascismo”, ha detto Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma. Nel 2014 le bandiere della Brigata ebraica furono contestate dai centri sociali e da allora la frattura non è stata ricomposta. Dal canto suo, l’Anpi nazionale dirama una nota invitando alla memoria unitaria della liberazione e ad evitare strumentalizzazioni; solo che il risultato è opposto e rinfocola le polemiche. A questo punto tocca ai nipoti del vecchio Pci. “Non è il 25 Aprile a dividere — dichiara Matteo Orfini, presidente del Partito democratico —. Non sono i valori dell’antifascismo. È la scelta di chi ha voluto cambiare la natura di quel corteo, scelta che ha ragioni che nulla hanno a che fare con il 25 Aprile”. Conclusione: il Pd non parteciperà al corteo romano dell’Anpi; lo farà però Virginia Raggi, che si terrà sul sicuro andando ad entrambi i cortei. Che dire? “Siamo all’uso simoniaco delle reliquie del 25 aprile”, commenta sconsolato Ugo Finetti, giornalista, storico, direttore di Critica Sociale, autore de La Resistenza cancellata (2003) e, appena un anno fa, di Botteghe oscure. Il Pci di Berlinguer & Napolitano



Finetti, ci aiuti a capire questo guazzabuglio storico, ideologico e politico, se possibile.

Siamo di fronte a un cortocircuito che è l’ultima tappa della strumentalizzazione della Resistenza, di questo “uso simoniaco delle reliquie” che avviene intorno al 25 aprile: lo scontro tra Pd e scissionisti con il sindaco Raggi del M5s in mezzo.



Quella dell’Anpi è un’operazione innocente?

No. Trattare la comunità israelitica come soggetto estraneo alla Resistenza romana a vantaggio dei filopalestinesi in campo come eredi della lotta partigiana ha fatto insorgere gli storici, da Giovanni Sabbatucci (“clamoroso errore storico”) a persino quello più estremista e “dipietrista”, Guido Crainz (“inaccettabile la posizione dell’Anpi”).

E non è una novità di quest’anno.

L’Anpi di Carlo Smuraglia non è nuova a simili prodezze. Già nel 2010 volle respingere a Milano il documento della Cisl e della Uil facendo invece approvare un testo di immediata polemica antigovernativa, rifiutando l’aggettivo “democratici” nella definizione degli ideali della Resistenza. Napolitano, presidente della Repubblica, rifiutò allora l’invito dell’Anpi di essere oratore ufficiale e celebrò l’anniversario della Liberazione al Teatro alla Scala con le istituzioni locali. 



Come si spiega questo sbandamento estremista dell’Anpi?

Ha la sua origine nel congresso del 2005, quando si modificò lo statuto per aprire l’associazione a soggetti come i centri sociali, chiamando gli estremisti “nuove generazioni” dell’antifascismo. E’ così che lungo questa catena di strumentalizzazioni politiche il 25 aprile rischia di diventare il giorno non della memoria della Resistenza, ma dell’amnesia e della sua mistificazione.

Mistificazione perché?

Le mistificazioni sono essenzialmente tre. Esse hanno origine nella Guerra Fredda con la lettura della Resistenza italiana per la propaganda sovietica: esclusione — indicandoli anzi come eredi del fascismo — degli Alleati (in quanto blocco anti-Urss), dei militari italiani (in quanto Nato), dei cattolici e dei laici (in quanto governo senza il Pci). Una completa manipolazione. Basti pensare a come “a caldo” parlava invece Palmiro Togliatti nel dicembre 1945 al congresso di ricostituzione del Pci: “Ricorderemo in eterno i soldati e gli ufficiali inglesi, degli Stati Uniti, della Francia, dell’Africa del sud, dell’Australia, del Brasile, i quali hanno lasciato la loro vita o versato il sangue loro per la liberazione del suolo della nostra patria. Il loro nome vivrà nel cuore del nostro popolo”. Ricorderemo in eterno? Oggi se ne bruciano le bandiere.

La seconda mistificazione?

E’ la cancellazione dell’importanza dei militari nella Resistenza italiana. Sempre “a caldo” (il 13 maggio 1945 al teatro Eliseo) Ferruccio Parri raccontando ai romani la lotta partigiana (tra le grida “Viva gli Alleati!”) esaltava i “molti soldati”. Ma ancora nel 2010 Giorgio Napolitano doveva lamentare che il ruolo dei militari era stato “in passato tenuto in ombra”. Infatti, contro l’amnesia dominante in proposito, i presidenti della Repubblica Pertini, Ciampi e Napolitano si sono adoperati soprattutto per sottolineare come la Resistenza — da Porta san Paolo a Cefalonia — fu fondata dai militari italiani. La cancellazione dei militari è stata enorme e fortemente diseducativa. Si è arrivati alla criminalizzazione di eroici comandanti come nel “caso Mauri”, che venne ingiustamente accusato nel 1975 dal giudice Violante — nel trentennale della Resistenza — di golpismo. Lo stesso comandante partigiano comunista, Pietro Secchia, riconobbe invece l’importanza delle sue brigate: nell’autunno comandava 10mila uomini su un totale di meno di 50mila partigiani.

E la terza?

La terza cancellazione riguarda le forze politiche. A partire dalla strage di Porzus i non comunisti e i non filocomunisti sono espulsi dalla memoria della Resistenza. Socialisti, cattolici e liberali sono estranei alla lotta antifascista.

Quali sono state le conseguenze di queste falsificazioni?

Il risultato è che nel gran celebrare il 25 aprile in realtà tra gli studenti chi conosce i nomi del capo militare e del capo politico della Resistenza? Il generale Raffaele Cadorna che era alla testa del comando unificato delle brigate partigiane e Alfredo Pizzoni che guidava il Cln dell’Alta Italia. Così come le Fosse Ardeatine sono una sorta di “fossa comune” senza identità, a cominciare da quella del colonnello Montezemolo che fu tra i primi a essere incluso nella lista da Kappler in quanto capo militare della lotta clandestina a Roma. Né si ricorda che la liberazione di Milano fu affidata dal Cln alla Guardia di finanza: 407 militari e 23 ufficiali.  

Però non tutta l’Anpi è sulle posizioni della sezione di Roma.

Il presidente dell’Anpi di Milano, Roberto Cenati, ha assunto una posizione molto positiva sulla Brigata ebraica e sul significato della celebrazione della Resistenza. Sarebbe ora che il 25 aprile non venisse usato per giustificare estremismo politico e atti di delinquenza contro soggetti storici dell’antifascismo.

(Federico Ferraù)