L’altro giorno i renziani strillavano alla crisi di governo perché “così non si può andare avanti”, ieri tutto si era già placato. Salvatore Torrisi, il Carneade degli alfaniani, resiste in sella alla commissione Affari costituzionali del Senato, quella che dovrà istruire l’iter della nuova legge elettorale. E Paolo Gentiloni, detto Er Moviola, resta a Palazzo Chigi. Matteo Renzi incassa la sconfitta e prepara le prossime mosse. Prima però di capire quali, è bene approfondire che cos’è successo davvero martedì a Palazzo Madama. E al Quirinale.



La commissione, acefala da quando Anna Finocchiaro ha traslocato al governo, doveva finire in mano a un renziano di stretta osservanza. Ma i neo-fuoriusciti dal Pd hanno teso il primo vero sgambetto al loro ex segretario e hanno votato assieme alle minoranze (Lega, Forza Italia, grillini) ribaltando il risultato. È dunque andata in scena una delle tante schermaglie parlamentari che le truppe dell’ex premier hanno sfruttato per cercare di indebolire il governo e avvicinare la crisi. Il voto anticipato e ravvicinato resta il chiodo fisso di Matteo Renzi.



In sostanza, si è cercato l’incidente per dire quello che i renziani hanno dichiarato in seguito: meglio votare subito che trascinarsi in questo stillicidio di agguati a un esecutivo debole. Su qualche giornale si è letto addirittura che Renzi non sapesse quanto stava avvenendo in commissione. In realtà, i giochi erano già fatti e i perdenti stavano già elaborando una exit strategy a loro uso e consumo. Nel mirino di Renzi c’è in particolar modo il capogruppo al Senato, Luigi Zanda, luogotenente di Dario Franceschini. In questa fine di legislatura, l’ex premier vorrebbe qualcuno più vicino alle sue volontà.



Ma oltre a Zanda, Renzi ha tentato di coinvolgere anche il capo dello Stato, facendo sapere che i suoi avevano chiesto un incontro urgente al Colle. Volevano un avallo alle loro rivendicazioni elettorali. Mattarella però non si è fatto mettere in mezzo, ha fatto sapere che non intendeva infilarsi in questioni interne ai partiti e al Parlamento e ha lasciato intuire che, per Renzi, sarebbe stato meglio ripiegare se non voleva incassare un secco “no” all’incontro. E infatti la richiesta è stata lasciata cadere.

La voce che però circola nei palazzi è che il canale di comunicazione tra Renzi e Mattarella non è chiuso. Che Renzi usa di ogni occasione per spingere verso il voto anticipato e che il suo vero obiettivo ormai non è più l’estate ma l’autunno, magari in coincidenza con il voto in Germania di fine settembre. Potrebbe accontentarsi anche di ottobre, magari sull’onda di un eventuale ko di Angela Merkel. Per lui l’importante è non arrivare alla manovra di fine anno con un governo in scadenza e troppo incline, a suo giudizio, alla mediazione.

Il Pd, dice Renzi, non può permettersi di presentarsi agli elettori nella primavera 2018 come il partito che ha dovuto varare una manovra verosimilmente gravosa: meglio votare prima e fare scrivere la legge di bilancio da un governo appena insediato, forte del consenso popolare e possibilmente senza ministri “tecnici” ai dicasteri economici. Per Mattarella il punto irrinunciabile è che lui il Parlamento non lo scioglie senza una legge elettorale coerente tra Camera e Senato. Più che gridare allo scandalo per lo scivolone su Torrisi, meglio che Renzi si dia da fare per favorire un largo accordo sul nuovo sistema di voto. Sempre che sappia come si coniuga il verbo “mediare”.