Apparterremo alla tribù dei gufi e dei corvacci, ma l’Italia, ormai alla metà di questo 2017, sembra un Paese che si potrebbe definire imbarazzante. Nonostante tutte le buone intenzioni e le promesse profuse, i dati economici restano quelli che segnalano una ripresa lentissima dallo stato di stagnazione e di deflazione che ormai caratterizza l’intervento dei “grandi tecnici” nella vecchia “stanza dei bottoni” di nenniana memoria.



E stiamo superando l’ampiezza dei dieci anni. Un record negativo nella storia della civiltà  moderna. Al punto di pensare che occorra fare gli scongiuri tutte le volte che l’intransigente Wolfgang Schäuble loda il nostro “vivace” Pier Carlo Padoan e viceversa (chiusura del G7 economico) pensando a quanto scrive Paul Krugman sulla politica economica europea a trazione tedesca. 



Intanto, c’è una cosiddetta classe politica che sta discutendo animatamente di come si possa fare una legge elettorale che sia almeno uguale alla Camera e al Senato. Non si pretende che l’Italia voti ugualmente in ogni organismo elettivo, perché quella è una roba da vecchie democrazie, che tra non molto ritorneranno a essere etichettate come “demoplutocrazie giudaico-massoniche”, come spiegavano i gerarchi fascisti. Da tempo si preferisce  una sorta di “arcobaleno” di modi di votare, dove si cerca involontariamente di far capire il meno possibile all’elettore.



Poi ci sono gli ex “poteri forti” (se ne è accorto ormai anche l’ex direttore del Corriere della Sera) che, come si dice a Milano, hanno “fatto la bella”,  togliendo in pratica dall’Italia che si privatizzava (seguendo la logica dell'”uomo del pendolino”, definito nella grande Mediobanca di un tempo “il babbeo”) oltre 20 miliardi di euro di investimenti. La definizione che il compianto Marco Borsa, grande giornalista morto prematuramente, aveva dato a questa compagnia di giro, scambiata per grandi imprenditori, era stata quella di “capitani di sventura”.

Senza grandi banchieri alle spalle, questi capitani di sventura, osannati da stampa e rotocalchi che possedevano, sarebbero tutti finiti a fare i “maître d’hotel” in qualche albergo della Costa azzurra, se gli fosse andata bene. Non è un caso che quando sono arrivati i banchieri della “scuola McKinsey”, le banche italiane sono andate in sofferenza e i banchieri sembrino dei rentier.

Poi c’è la grande stampa italiana, il “quarto potere”, la versione peninsulare del “menga”, che straparla e pontifica ancora, per quello che può, dato che l’andamento delle tirature e delle vendite dei quotidiani, quelli che sarebbero i “quality papers”, è a un livello catastrofico e non ha paragoni nel mondo per caduta libera, anche di fronte alla nuove tecnologie di comunicazione.

Tutto questo avviene mentre è in corso una svolta epocale nell’assetto geopolitico mondiale. Visto il teatro globale, l’Italia ha sempre un oggettivo rilievo che la sua classe dirigente aveva ben compreso ai tempi della Guerra fredda e oggi ha invece completamente dimenticato.

Proprio la rivista Limes indicava in questi giorni cinque punti di grande rilievo che ha ancora l’Italia e a cui sono interessate grandi potenze mondiali. E’ vero che proprio qui si decide il futuro dell’euro, perché, tecnicamente, siamo la “quantità marginale” che con un fallimento cancellerebbe la moneta unica. Ne siamo consapevoli, anche nelle trattative a Bruxelles?

Siamo poi diventati la porta d’ingresso della grande ed epocale migrazione dalla giovane Africa alla vecchia Europa. Lo sappiamo in un modo confuso, convulso, contraddittorio e non sappiamo neppure come inquadrarlo per ottenere un autentico e decisivo riconoscimento politico. Ci vuole tanto a pensare di realizzare un autentico “piano nazionale” o si ha paura di parlarne per la consueta ipocrisia?

Restiamo una piattaforma logistica nel Mediterraneo. Siamo utili sia al Cremlino che alla Casa Bianca. E siamo utili persino alla Cina, perché nel Mediterraneo restiamo il primo attracco nei traffici marittimi tra Asia e Europa. 

Siamo consapevoli di tutto questo? Se non siamo in grado di comprenderlo  sarebbe meglio che il paese ritornasse a quello dei cinque Stati di fine Quattrocento.

E attenzione, sarebbe proprio il caso invece di essere consapevoli e accorti in un  momento come questo dove stanno maturando situazioni impressionanti a livello mondiale.

Anche in questo caso basta stilare un piccolo elenco. Il contenzioso che sta maturando tra Gran Bretagna e Europa, dopo la Brexit, non è cosa da poco. Bruxelles ha fatto la “voce grossa” pensando di dover trattare con degli sprovveduti (Candide e Pangloss per citare gli “eroi” comici di Voltaire) e si sono trovati di fronte sia Theresa May, ma soprattutto il più “politicamente scorretto” ministro degli Esteri di questo tempo, Boris Johnson, che ha risposto duramente: volete  cento miliardi di euro  per la nostra uscita? Al massimo non daremo nemmeno un penny, dovreste piuttosto pagarci voi.

Qualche giorno fa anticipavamo la possibile risposta, a questo inevitabile scenario, del “funambolo” Jean-Claude Junker e dei suoi soci, tutti perdenti alle elezioni dei loro Paesi, a colpi di V2 su Londra e di invasioni con D-day al contrario guidato sulla Manica con nuovi generali. Una comica da sprovveduti che non era difficile immaginare.

Ma seguiamo i problemi. E stato messo in atto un attacco hacker mondiale che dimostra tutta la fragilità dei “costruttori” del nuovo ordine mondiale di fronte ai nuovi “pirati” globali, che sbrigativamente, per mettersi la coscienza in pace, si dice che siano i russi, anche se è stata colpita la Russia stessa e la Cina. Vedremo anche di fronte a questa minaccia che cosa penserà il “visionario al cognac” Junker.

Poi occorre osservare due precisi scacchieri del teatro mondiale. Il primo è  quello europeo, dove Angela Merkel,  la più abile venditrice di nazionalismo scambiato per europeismo, si incontrerà con l’incognita Emmanuel Macron, che ha convinto la Francia contro Marine Le Pen, ma che ora deve convincere la Francia in un accordo con i gollisti, senza litigare, come sta facendo, e soprattutto gli europei nella volontà di riforma; il secondo è quello del Pacifico, che non va dimenticato, anche se lontano, perché la geografia mondiale si è ristretta in chiave politica e diplomatica, tanto da interessare tutti soprattutto quando, come paese, sei al centro dell’attenzione di molti.

Ripetiamo, è consapevole l’Italia di tutto questo? Al momento non sembra proprio. L’ex direttore del Corriere della Sera ricorda alcune “scelte” di Maria Elena Boschi e in televisione, dopo 25 anni, dice una cosa sconvolgente: 25 anni fa, ai tempi di Tangentopoli, siamo stati troppo tiepidi con alcuni interventi della magistratura. Il filosofo Massimo Cacciari annuisce da Venezia. Ci sarebbe da trasalire, dato che è crollata una classe dirigente e una Repubblica.

Intanto un ex direttore di Repubblica si è riscoperto “aggiustatore” del grande storico inglese della rivoluzione russa Edward Carr. Tutti litigano, in televisione e sui giornali, promettendo querele.

Pure tra i magistrati vari dissensi, con il Consiglio superiore della magistratura che bacchetta duramente il pm Woodcock, mentre l’intransigente Davigo scrive libri che dimostrano l’inconsistenza del termine “garantismo”. Un altro magistrato fa conferenze stampa durante le sue inchieste e azzarda sospetti e conclusioni scatenando un putiferio.

Quante buone carte sprecate! Siamo a “Tre passi nel delirio”? Ma no, si tratta dell’Italia, grande Paese che si rifiuta cocciutamente di diventare adulto, anche se è ormai tra i più vecchi del mondo. Dove litigare è una gioia, mentre ragionare e studiare una noia. Bisogna istituire una nuova laurea: quella dell’incompetenza. Lavoro assicurato.